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RUBRICA
LA REUMATOLOGIA NELLA LETTERATURA, NELLA STORIA E NELL’ARTE
R
eumatismo, 2006; 58(1):66-75
Il contributo italiano alla storia dei salicilati
The Italian contributions to the history of salicylates
Piero Marson
1
, Giampiero Pasero
2
1
Unità di Emaferesi, Servizio Immunotrasfusionale, Azienda Ospedaliera di Padova;
2
Cattedra di Reumatologia, Università di Pisa
Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Piero Marson
Via delle Melette 8/1
35138 Padova
E-mail: piemarson@katamail.com
nell’ottobre 1897 mise a punto un metodo econo-
mico per la sintesi dell’acido acetilsalicilico allo
stato puro.
I meriti rispettivi di Eichengrün, Dreser e Hoffman
nello sviluppo dell’aspirina sono molto controver-
si, ed alcune recenti revisioni storiche hanno cer-
cato di chiarirli (3, 4).
La scoperta dell’aspirina è stata però la tappa con-
clusiva di una storia che ha inizio nella notte dei
tempi, in quanto l’impiego delle foglie di salice
per alleviare il dolore e per attenuare la febbre era
diffuso nella medicina popolare in molte parti del
mondo,
er
a conosciuto g
ià da Ippocr
a
te (5) ed an-
cor pr
ima v
eni
v
a cita
to nel codice di Eber
s (6)
ed in alcune ta
volette sumeriche nel III millennio
a.C. (7).
La storia “moderna” dei derivati del salice inizia
però nel 1763,
quando un r
elig
ioso inglese, Ed-
ward Stone, segnalò alla Royal Society di Londra
l’ef
ficacia di un estratto della corteccia di salice
S
enza dubbio l’aspirina – forse insieme alla peni-
cillina e al cortisone – è uno dei farmaci più fa-
mosi o quanto meno uno di quelli che hanno rap-
presentato una tappa fondamentale nella storia del-
la terapia medica (1).
L’acido acetilsalicilico fu registrato con il marchio
“Aspirina” l’11 febbraio 1899 dalla Bayer, allora
una piccola fabbrica chimica specializzata nella
produzione di coloranti (2), che però aveva un set-
tore dedicato ai farmaci, diviso in due sezioni, l’una
di tecnica farmaceutica e l’altra di farmacologia.
Di queste erano responsabili, rispettivamente, Ar-
thur Eic
heng
rün e Heinr
ic
h Dr
eser. Fu un giovane
colla
bor
a
tor
e di Eic
heng
rün,
F
elix Hoffman, che
Reumatismo, 2006; 58(1):66-75
SUMMARY
It is well-known that the modern history of salicylates began in 1899 when the compound acetylsalicylic acid was reg-
istered and introduced commercially as “aspirin” by the Bayer Company of Germany. As a matter of fact, however,
remedies made from willow bark had been used to treat fever and rheumatic complaints at least since 1763, when Ed-
ward Stone described their efficacy against malarian fever.
A number of Italian scientists made significant contributions during the long period of research leading up to the syn-
thesis of acetylsalicylic acid and its widespread use in rheumatic diseases.
In this paper we will review the contributions of some of these researchers, beginning with Bartolomeo Rigatelli, who
in 1824 used a willow bark extract as a therapeutic agent, denominating it “salino amarissimo antifebbrile” (very bit-
ter antipyretic salt). In the same year, Francesco Fontana described this natural compound, giving it the name “salic-
ina” (salicin). Two other Italian chemists added considerably to current knowledge of the salicylates: Raffaele Piria
in 1838, while working as a research fellow in Paris, extracted the chemical compound salicylic acid, and Cesare
Bertagnini in 1855 published a detailed description of the classic adverse event associated with salicylate overdoses
– tinnitus – which he studied by deliberately ingesting excessive doses himself.
Bertagnini and above all Piria also played conspicuous roles in the history of Italy during the period of the Italian
Risorgimento, participating as volunteers in the crucial battle of Curtatone and Montanara during the first Italian War
of Independence.
(Salix alba) nel combattere la febbre malarica (8)
a
.
Il reverendo Stone era un appassionato di botani-
ca: nel 1757, durante una passeggiata nelle campa-
gne dell’Oxfordshire, ove esercitava il suo ministe-
ro, assaggiando la corteccia di un salice, si accor-
se che era molto amara, quasi come quella della
“corteccia del Perù” o “corteccia dei gesuiti”. Va-
le a dire, della corteccia dell’albero di china, un ar-
busto che cresce nelle Ande peruviane, dove gli in-
digeni lo utilizzavano, appunto, per curare gli ac-
cessi febbrili in corso di malaria, e che era già sta-
to introdotto nella medicina europea per opera di
missionari gesuiti (10).
La scoperta di Stone fu il frutto di due fortunate e
provvidenziali supposizioni, anche se in realtà si
configura un classico caso di “serendipity” (9)
b
. La
prima si r
iferiva, appunto, al sapore molto amaro
della corteccia del salice, che ricordava quello al-
trettanto amaro della corteccia della china, per cui,
nell’opinione di Stone, do
veva avere proprietà simi-
li. La seconda si riallacciava ad una teoria allora an-
cora in voga, la cosiddetta “teoria della segnatura”
(12), in base alla quale le malattie avrebbero avuto
una certa relazione con la loro cura, per cui il sali-
ce, che cresce in terreni umidi ed acquitrinosi, non
poteva che essere utile nella terapia della malaria,
malattia che si contrae nelle stesse aree. Il periodo
che va dalla “passeggiata” del reverendo Stone al-
la sintesi chimica di Felix Hoffman è molto intrica-
to e complesso, ma le tappe fondamentali nella sto-
ria dei salicilici possono essere così sintetizzate:
a) l’estrazione di un glucoside, la salicina, dalla
cor
teccia di salice
, realizzata nel 1828 dal far-
macista tedesco Johann Andreas Buchner (13);
b) l’isolamento dell’acido salicilico dalla
Ulma-
ria
, una rosacea detta anche “regina dei prati”
(
Spiraea ulmaria, oggi nota col nome di Fili-
pendula ulmaria
), che aveva dimostrato di pos-
sedere proprietà analoghe a quelle della cortec-
cia di salice, ottenuto nel 1835 dal chimico sviz-
zero Karl Jacob Löwig (14);
c) la sua sintesi, ottenuta nel 1852 dal tedesco
Henri Gerland (13);
d) quella dell’acido acetilsalicilico, che sarebbe
stata realizzata per la prima volta nel 1853, da-
l’alsaziano Char
les F
rédér
ic Gerhar
dt (15)
c
,
an
-
c
he se in f
or
ma impur
a ed insta
bile
,
e f
orse sen-
za neppure averlo chiaramente identificato co-
me nuovo composto c
himico.
Risulta evidente come tutte queste tappe nello svi-
luppo dei deriv
ati salicilici siano state opera di ri-
cercatori tedeschi o perlomeno di lingua tedesca.
La Germania era allora un paese all’avanguardia sia
nel campo scientifico che in quello industriale. In
Europa forse solo la Francia poteva essere compe-
titiva, e infatti nella storia dei salicilici compaiono
anche alcuni studiosi francesi: nel 1829 il chimico
Pierre Joseph Leroux (17) aveva ottenuto in forma
cristallina la salicina isolata da Buchner, e nel 1843
Auguste Cahours aveva ricavato l’acido salicilico
dal salicilato di metile, che l’anno precedente egli
stesso e l’americano William Proctor (14) avevano
isolato dalla
Gaultheria Procumbens o thé del Ca-
nada, un altro vegetale dalle caratteristiche simili
a quelle del salice. Anche l’alsaziano Gerhardt, che
abbiamo ricordato come il primo ad ottenere per
sintesi l’acido acetilsalicilico, era cittadino france-
se, in quanto l’Alsazia, pur essendo una regione
con popolazione mista, passò alla Germania solo
dopo la guerra del 1870-71. Questi fu poi attivo in
sedi inequivocabilmente francesi, dapprima a Mon-
tpellièr e quindi a Parigi, presso l’École de chimie
practique
.
Se però entriamo nei dettagli della storia dei salicili-
ci, ci imbattiamo anche in alcuni scienziati italiani:
a) secondo Schindler, che ha scritto nel 1979 una
storia molto particolareggiata dell’aspirina (18),
gli italiani Brugnatelli e Fontana avrebbero iso-
lato la salicina nel 1826, cioè due anni prima di
Buchner;
b)
in quasi tutte le rassegne storiche sui salicilici
e sull’aspirina (9,13,14,18-20) viene citato Raf-
faele Piria, un calabrese che fu professore di
chimica alle Università di Pisa e di Torino, e che
nel 1838, quando lavorava a Parigi presso il la-
bor
a
torio di Jean-Baptiste Dumas, isolò l’acido
salicilico direttamente dalla salicina, distaccan-
done la parte zuccherina e stabilendone anche
la formula bruta (21);
Il contributo italiano alla storia dei salicilati
6
7
a
Collier (9) ha individuato un errore nella lettera di Stone
pubblicata su
Philosophical Transactions of the Royal Socie
-
ty of London
: nel titolo si cita, infatti, Edmund Stone, men
-
tre la lettera è firmata da Edward Stone. Edmund Stone era
un matematico, membro della Royal Society fin dal 1725, e
ancora vivente nel 1763.
b
Il termine “serendipity”, che nella letteratura inglese sta per
“scoperta casuale”, deriva da una fiaba di Horace Walpole
(1717-1797), “
The three princes of Serendip” (nome arabo
dell’isola di Ceylon), il cui protagonista aveva fortituitamen-
te trovato un prezioso tesoro (11).
c
A questo proposito, vi è un particolare curioso: quando Hoff
-
man realizzò la sua sintesi, partendo dal metodo di Gerhardt,
l’Ufficio tedesco dei Brevetti non gli riconobbe la priorità,
per cui questi, il cui contratto prevedeva delle
royalties solo
per i farmaci brevettabili, non ottenne alcun beneficio dalla
sua scoperta; al contrario, si sarebbe arricchito Dreser, il cui
contratto invece considerava delle
royalties per tutti i farma
-
ci poi introdotti in commercio (16).
c) da ultimo, secondo Germain Sée (22), Cesare
Bertagnini, allievo di Piria, sarebbe stato il pri-
mo a segnalare, nel 1855, i ronzii auricolari,
che rappresentano il più noto effetto indeside-
rato dei salicilati, in caso di sovradosaggio.
Abbiamo ritenuto interessante raccogliere maggio-
ri informazioni su questi ricercatori, perché, se è
vero che le priorità in campo scientifico non giu-
stificano rivendicazioni di tipo nazionalistico, è al-
trettanto vero che nella letteratura scientifica vi è
spesso la tendenza a sottolineare il contributo dei
propri connazionali e a trascurare quello dei ricer-
catori di altri paesi. A titolo d’esempio, nella trat-
tatistica storica anglosassone le citazioni dei ricer-
catori stranieri sono decisamente minoritarie – la
storia della fibromialgia inizia quasi sempre con il
lavoro di William Richard Gowers del 1903, e vie-
ne omessa tutta la letteratura tedesca del XIX se-
colo sul reumatismo muscolare (23) – e scorrendo
le pagine della versione italiana dell’
Histoire illu-
strée de la Rhumatologie
di Ange-Pierre Léca (13)
sembra che quasi tutte le malattie reumatiche sia-
no state identificate dai francesi!
Procedendo in ordine cronologico, dobbiamo par-
tire da Brugnatelli e Fontana, ma va subito segna-
lato un errore che si sta tramandando nella lettera-
tura sull’argomento, in quanto l’isolamento della
salicina dalla corteccia del salice (
Salix alba) non
può essere dovuta a Brugnatelli, per il semplicissi-
mo motivo che nel 1826, cioè nell’anno al quale ri-
salirebbe il suo lavoro, costui era già morto da al-
cuni anni! Infatti, Luigi Valentino Brugnatelli
(1761-1818), professore di chimica all’Università
di Pavia – ove esiste ancora un collegio universita-
68 P
. Marson, G. Pasero
Figura 1 - “Salino amarissimo antifebbrile” (B. Rigatelli, Giornale di Farmacia-Chimica e Scienze Accessorie, 1826).
rio intitolato al suo nome – è rimasto nella storia
della chimica come inventore della elettro-doratu-
ra e della galvanoplastica e come autore di manua-
li largamente usati ai suoi tempi (24), ma non pare
essersi mai occupato del salice e dei suoi derivati.
Nella letteratura più recente, l’errata attribuzione a
Brugnatelli dell’isolamento della salicina viene im-
putata a Schindler (18), ma abbiamo potuto accer-
tar
e c
he fu lo stesso Pir
ia c
he in un la
voro del 1845
f
ece un pr
eciso r
if
er
imento a Br
ugna
telli e F
onta-
na (25). Probabilmente egli venne tratto in ingan-
no dall’assonanza tr
a Br
ugna
telli,
c
himico assai f
a-
moso a quel tempo, e l’assai meno noto Rigatelli,
il quale, invece, sembra essere stato effettivamen-
te il primo, assieme a Fontana, ad estrarre dalla
corteccia del salice il principio attivo.
Bartolomeo Rigatelli era, infatti, un farmacista ve-
ronese che già nel 1824 – e quindi ancor prima del
1826 – stando alla concisa segnalazione su
Biblio-
teca Italiana ossia Giornale di Letteratura, Scien-
ze ed Arti
d
– avrebbe identificato la salicina (26).
Nel 1826 egli diede più estese notizie su questo “sa-
lino amarissimo antifebbrile” all’Accademia di
Agricoltura, Commercio ed Arti di Verona, notizie
r
ipor
ta
te poi sul
Gior
nale di f
ar
macia-c
himica e
scienz
e accessor
ie o siano
Annali Uni
v
er
sali delle
Il contributo italiano alla storia dei salicilati
6
9
Figura 2 - “La Salicina” (F. Fontana, Giornale di Farmacia-Chimica e Scienze Accessorie, 1824).
d
Il testo così recita: “Il signor Bartolomeo Rigatelli, farma
-
cista in Verona, avendo trovato un sostituto indigeno del
solfato di chinina, sul quale si fanno ora dalle autorità com-
petenti i necessari esperimenti, annunzia questa sua scoper
-
ta per assicurarsi in ogni caso la data del suo ritrovato”.
naturali (scrisse anche un “Catalogo ragionato dei
pesci del lago di Garda, che l’Autore ha potuto ave-
re ad esaminare”) (33), Fontana pubblicò un solo ar-
ticolo sul pr
incipio a
ttivo della corteccia del salice
(Fig. 2), ma a lui si deve la denominazione di “sali-
cina” (34), poi adottato anche da Buchner, che pro-
babilmente non era a conoscenza del suo contribu-
to. In quel periodo la desinenza “in/ina” era comu-
nemente utilizzata, infatti, per designare i composti
derivati da sostanze naturali.
Rigatelli e Fontana erano entrambi farmacisti di
provincia, e come scienziati si debbono considera-
re dei semplici, anche se geniali dilettanti, in quan-
to le loro ricerche, dettate solo da un’innata curio-
sità per la natura, si svolsero al di fuori dell’am-
biente accademico, che però fu presto attento alla
no
vità della scoper
ta.
A testimonianza di ciò,
ci è
sta
to possibile consultar
e una Disser
tazione
Acca
-
demica (F
ig. 3) - più o meno l’equivalente del-
l’odier
na tesi di laur
ea (35) - dell’Uni
v
er
sità di P
a-
dova, risalente al 1844, in cui l’autore, Luigi Cen-
tomo,
f
ace
va il punto sulle ricerche sperimentali e
cliniche fino ad allora condotte sull’estratto di sa-
lice (36). E sempr
e in ambito accademico si muo-
70 P
. Marson, G. Pasero
Figura 3 - “Nonnulla de salicibus corticibus, et salicina” – Frontespi-
zio della Dissertazione Accademica di Luigi Centomo, Padova, 1844.
e
È singolare come in questo testo compaiano alcuni riferi-
menti che oggi definiremmo di farmacoeconomia, ad indi-
care l’attenzione che l’amministrazione austriaca del Lom-
bardo-Veneto poneva su questioni di politica e spesa sani-
taria: “L’economia del nuovo febbrifugo porterebbe alla
sola provincia un annuo vantaggio di lir. 60,000 circa, poi-
ché non si consumano meno di libb. 7000 di corteccia di
china all’anno. Calcolando il consumo di corteccia peruvia-
na per tutta la monarchia a fronte del nostro, l’introduzio-
ne di quel farmaco importerebbe un’annua perdita di dena-
ro nazionale per circa 4,000.000. Col succedaneo del sig.
Rigatelli cesserebbe non solo questa perdita, ma si avreb-
be il vantaggio di aver dato valore e commercio a un pro-
dotto indigeno, e quindi procurata una nuova attività allo
Stato.”
f
La farmacia Bottari a Pisa esiste ancora! Nata nel Settecen-
to, fu acquistata dalla famiglia Bottari nel 1820 e quindi, con
ogni verosimiglianza proprio da Antonio. Anche l’attuale
titolare si chiama Antonio e suo padre Francesco è stato
compagno di scuola di uno di noi (GP).
g
Francesco Fontana non va confuso con Felice Fontana,
chimico di una certa rinomanza, ma di un’epoca preceden
-
te (1730-1805), che lavorò molto all’estero (Parigi, Londra),
s’interessò soprattutto di chimica dei gas, forse influenzan-
do lo stesso Antoine-Laurent Lavoisier, e fu il primo diret-
tore del Museo di Scienze Naturali di Firenze (24). La con-
fusione sembra essere stata creata da Giulio Provenzal, che
in una biografia di Raffaele Piria (32) attribuisce al Fonta-
na, citato come uno dei primi ad estrarre il principio attivo
della corteccia di salice, il nome di Felice (Piria aveva ci-
tato solo il cognome). Anche in questo caso, l’equivoco è
dovuto, con ogni probabilità, al fatto che Felice Fontana era
un chimico ben conosciuto, mentre Francesco Fontana era
un oscuro farmacista di provincia.
scoperte, ritrovati e miglioramenti fatti in farma-
cia ed in chimica
(27) (Fig. 1) e nello stesso anno
anche sugli
Annali Universali di Medicina (28)
e
. A
breve distanza di tempo, l’efficacia del nuovo ritro-
vato fu confermata da altri due farmacisti: Narciso
Bissacani di Codogno, nel Lodigiano (29), ed An-
tonio Bottari di Pisa (30)
f
, mentre, al contrario,
Giovanni Grabner-Maraschin segnalò di aver avu-
to “il dispiacere di dover ricorrere o alla corteccia
peruviana o al solfato di chinina” per i risultati ot-
tenuti nei confronti della febbre (31).
In tutti questi lavori non vi sono però particolari re-
lativi al processo estrattivo, come invece, sia pure in
termini molto generici (“con l’uso successivo o com-
binato dell’acqua, dell’alcool, dell’etere, ecc., va-
riando l’ordine della loro reazione”) fece Francesco
Fontana (1794-1867),
anch’egli farmacista della pro-
vincia di Verona, più precisamente di Lazise, sulla
sponda orientale del lago di Garda
g
.Appassionato di
botanica (suo è un manoscritto contenente il “Ca
ta-
logo de’ molti vegetabili raccolti dall’Autore sulle
sponde del Benaco”) e, più in generale, di scienze
Figura 5 - Cesare Bertagnini (1827-1857).
tanto pubblicati su riviste francesi, i Comptes Ren-
dues de l’Academie des Sciences
(21) e gli Anna-
les de Chimie et de Ph
ysique
(37). Rientr
ato nel
1839 a Napoli, vi aprì una scuola privata di chimi-
ca, ma nel 1842, su consiglio di Carlo Matteucci e
di Macedonio Melloni, fu chiamato all’Università
di Pisa a ricoprire la cattedra di Chimica, che si era
r
esa v
acante. Rimase nell’ateneo toscano fino al
1856. In quell’anno, infatti, su invito del Ministro
della Pubblica Istruzione Giovanni Lanza, si trasfe-
rì all’Università di Torino, città ove morì nel 1865,
in procinto di passare all’Università di Napoli, do-
ve aveva chiesto di tornare in quanto malato di una
grave epatopatia (24, 32, 38).
Come già accennato, Piria fu una delle figure più
eminenti della chimica italiana del XIX secolo. Ol-
tre ai suoi lavori sulla salicina, che proseguì poi a
Pisa, lavorò sulla populina, un glucoside estratto
dal pioppo (
Populus tremula), che riuscì a conver-
tire in salicina distaccandone un radicale benzoico,
sull’aspar
a
g
ina e l’acido aspar
tico,
sulla conver-
sione delle aldeidi in acidi (39). Le sue
“Lezioni
elementar
i di chimica organica” (l’aggettivo “ele-
mentar
e”
ci a
ppar
e come un se
gno di modestia,
perché si tratta di un testo che, per l’epoca, era tut-
t’altr
o c
he elementar
e) pubblicate nel 1842, ebbe-
ro cinque edizioni, l’ultima delle quali nel 1853.
Ma i suoi inter
essi furono molto più vasti: nel 1842
Il contributo italiano alla storia dei salicilati
7
1
Figura 4 - Raffaele Piria (1814-1865).
ve la figura di Raffaele Piria (Fig. 4), che non so-
lo ebbe un ruolo di rilievo nella chimica italiana
dell’Ottocento, ma che pure entrò in modo non del
tutto marginale nella storia del nostro Risorgimen-
to. Fra l’altro, quello di Piria è il nome più citato
tra i ricercatori italiani che hanno contribuito a
qualche titolo alla storia dei derivati del salice.
Raffaele Piria (con l’accento sulla seconda “i”) nac-
que a Scilla, in Calabria, il 20 agosto 1814 (alcu-
ne biografie parlano erroneamente del 1812 o
1813): su consiglio di uno zio, che voleva facesse
il medico, frequentò il Collegio Medico-Chirurgi-
co di Napoli, dove si laureò nel 1837. Fin dagli
studi universitari dimostrò, peraltro, un particola-
re interesse per la chimica, per cui nel 1838 - cosa
non comune per quei tempi - andò a perfezionarsi
alla Sorbona di Par
igi, presso il laboratorio di Je-
an-Baptiste Dumas. In quella sede effettuò le sue
prime ricerche sulla salicina, dalla quale estrasse
l’acido salicilico che in precedenza er
a stato rica-
vato solo dalla
Spiraea. Questi studi vennero per-
aveva fondato a Napoli, assieme ad Arcangelo Sac-
chi, gli
Annali di Scienze Naturali, ove pubblicò,
fra l’altro, una ricerca sulle fumarole del Vesuvio
e nel 1855 fondò, insieme a Carlo Matteucci,
Il
Nuovo Cimento
, una rivista dedicata anch’essa a
tutte le scienz
e na
turali; ancora, nel 1851 e nel 1862
si recò a Londra in occasione di due Esposizioni
Universali - la seconda volta come Commissario
Speciale della delegazione italiana - ed approfittò
di questi soggiorni per documentarsi sull’organiz-
zazione delle industrie chimiche inglesi (40)
Accanto ai meriti di scienziato sono però da ricor-
dare i suoi slanci patriottici. La sua famiglia era im-
parentata con i Cosenz, ed egli aveva poi sposato
la sorella del generale garibaldino Enrico Cosenz.
Nel 1848 Piria fu capitano nel battaglione univer-
sitario toscano, che sotto il comando di Giuseppe
Montanelli
h
, il 29 maggio di quell’anno combattè
contro l’esercito austriaco a Curtatone e Montana-
ra
i
(41). Al trasferimento da Pisa a Torino non fu
estraneo il ruolo che il Piemonte andava assumen-
do nel promuovere l’unità d’Italia, e nel 1860, su
suggerimento di Cavour, Piria si recò a Napoli do-
ve fu Direttore Tecnico della Zecca e poi Ministro
dell’Istruzione nel governo provvisorio del luogo-
tenente Luigi Carlo Farini, che gestì il passaggio
dall’amministrazione borbonica a quella unitaria.
La città di Torino, dove Piria trascorse gli anni del-
la sua maturità, gli ha dedicato una via e gli ha
eretto un b
usto nell’atrio dell’Università, con una
lapide, dettata dall’allora rettore Enrico D’Ovidio:
A
Raffaele Piria
sommo chimico ardente patriota
capitano degli studenti a Curtatone e Montanara
Ministro dell’Istruzione a Napoli
dopo il plebiscito
colleghi e studenti
raccolte da ogni parte d’Italia le offerte
XXII anni dopo la sua mor
te
P.P.
Piria ebbe numerosi allievi - tra gli altri, Stanislao
Cannizzaro, Paolo Tassinari, Alfonso Cossa, nomi
molto conosciuti nella stor
ia della c
himica italiana
- ma quello che qui ci interessa ricordare è il tosca-
no Cesare Bertagnini (1827-1857) (Fig. 5), certa-
mente avviato ad una brillante carriera, se una gra-
ve malattia non lo avesse portato a morte appena
trentenne. Studente di chimica ed allievo di Piria,
aveva combattuto anche lui a Curtatone e Monta-
nara e si era laureato nell’ottobre del 1848, al ri-
torno dalla prima guerra d’Indipendenza (42).
Nei lavori che ci ha lasciato si occupò, tra l’altro,
dell’accoppiamento dell’acido nitrico con i prodot-
ti della serie benzoica, della purificazione delle al-
deidi, della sintesi dell’acido cinnamico (24). Lo
studio di Ber
ta
gnini cui si r
if
er
isce il clinico pari-
g
ino Ger
main Sée
,
c
he fu uno dei pr
imi utilizza
to
-
r
i dei salicilati in Francia (43), è quello pubblicato
su
Il Nuo
v
o Cimento
nel 1855 (44),
e c
he può es
-
sere considerato uno dei primi lavori scientifici di
f
ar
macocinetica. In esso Ber
tagnini studiò su sé
stesso i metaboliti urinari di alcuni acidi dopo som-
ministr
azione per os: una volta indagati l’acido ni-
72 P
. Marson, G. Pasero
Figura 6 - Giovanni Brugnoli (1814-1894).
h
Questi, nativo di Fucecchio, prozio del noto giornalista In-
dro Montanelli, era allora professore di Diritto Patrio e
Commerciale presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Uni-
versità di Pisa.
i
L’episodio di Curtatone e Montanara si ricollega ad una tra-
dizione poco conosciuta al di fuori della Toscana: i volon-
tari partirono indossando il “goliardo”, il caratteristico cap-
pello degli universitari. Sul campo di battaglia ne tagliaro
-
no la punta, che era d’impaccio per prendere la mira con il
fucile: da allora gli studenti di Pisa e di Siena, al posto del
cappello di foggia tradizionale, hanno portato - almeno fin-
tantoché l’uso del goliardo non è divenuto obsoleto - un
semplice zuccotto con i colori delle facoltà.
trobenzoico e l’acido canforico, passò a studiare
l’acido salicilico, e lo assunse in due giorni alla
dose complessiva di circa 6 grammi. Fu così che il
chimico toscano segnalò che, mentre il primo gior-
no non comparve “alcuno sconcerto”, al secondo
si manifestò “un romorio continuo alle orecchie, ed
una specie di stordimento”, che lo costrinsero a so-
spendere l’ingestione. Bertagnini però riportava
che già il suo maestro Piria aveva sperimentato su
di sé la salicina, ma che “gli sconcerti prodotti dal-
l’ingestione di forti dosi” lo avevano distolto dal
proseguire nelle ricerche.
Negli anni successivi ebbe inizio l’impiego dei de-
rivati del salice - che fino allora erano stati utiliz-
zati prevalentemente come antipiretici
l
- nella tera-
pia di alcune malattie reumatiche. Già nel 1865, in
un libro popolar
e sui rimedi casalinghi l’america-
no David Mowry, dell’Ohio, raccomandava un eli-
sir di radici di salice nella cura del “reumatismo”
(47). Nel 1876, in contemporanea tr
a loro, tre ri-
cercatori fecero ricorso ai salicilati nel trattamen-
Il contributo italiano alla storia dei salicilati
7
3
RIASSUNTO
La storia moderna dei salicilati generalmente viene fatta iniziare nel 1899, anno in cui l’acido acetilsalicilico venne re-
gistrato, col nome di “Aspirina”, dall’industria farmaceutica tedesca Bayer. In realtà, già allora i derivati del salice ve-
nivano impiegati nella terapia degli stati febbrili e nelle sindromi reumatiche, da oltre un secolo, ovvero dacchè Ed-
ward Stone, nel 1763, segnalò la loro efficacia nelle febbri malariche.
Nel lungo percorso che ha portato alla sintesi dell’acido acetilsalicilico ed al suo utilizzo sistematico nella terapia del
-
le reumoartropatie, non mancano i contributi di autori italiani, alcuni dei quali rappresentano delle tappe fondamenta-
li nella storia di questi principi farmaceutici. In questo studio vengono ricordate le figure di Bartolomeo Rigatelli, che
nel 1824 utilizzò un estratto di salice con il nome di “salino amarissimo antifebbrile”, e di Francesco Fontana, che due
anni dopo definì lo stesso estratto “salicina”.
Ancora, altri studiosi italiani che diedero un impulso fondamentale nello studio dei salicilati furono Raffaele Piria, che
nel 1838 a Parigi riuscì ad estrarre l’acido salicilico e che poi divenne uno dei più importanti chimici nell’Italia del-
l’Ottocento, e del suo allievo Cesare Bertagnini, che nel 1855 segnalò il più classico dei sintomi da sovradosaggio di
salicilati (tinnito), sperimentando su sè stesso la sostanza. Entrambi questi autori, in particolare Piria, furono anche
protagonisti delle vicende militari e politiche del Risorgimento italiano, partecipando alla battaglia di Curtatone e Mon
-
tanara, nella prima guerra d’Indipendenza.
Parole chiave -
Salicilati, aspirina, malattie reumatiche, storia della medicina.
Key words - Salicylates, aspirin, rheumatic diseases, history of medicine.
l
Un altro impiego dell’acido salicilico, suggerito da Her-
mann Kolbe, di Lipsia (45) era quello come agente antifer-
mentante, per cui esso veniva utilizzato per la conservazio-
ne degli alimenti. Come infatti si legge in un testo del 1869,
“…Piccole quantità di acido salicilico aggiunto al vino as-
sicurerebbero la conservazione del medesimo ed impedireb-
bero anche quegli intorbidimenti che dipendono da fermen-
tazioni lente e postume; aggiunte all’acqua assicurerebbe-
ro la conservazione della medesima ai naviganti di lungo
corso” (46). Gli autori ancora ricordano come fino a qual-
che decennio fa l’acido salicilico venisse utilizzato nelle
campagne toscane e venete per la preparazione di marmel-
late e conserve fatte in casa.
to della febbre reumatica: lo scozzese Thomas J.
MacLagan utilizzò la salicina (48, 49), il tedesco
Franz Stricker l’acido salicilico (50), e ancora un
tedesco, Ludwig Reiss, il salicilato di sodio (51).
L’anno successivo Germain Sée ne estese l’indica-
zione all’artrite reumatoide (reumatismo cronico)
ed alla gotta (43). Anche in Italia, comunque, que-
sto nuovo principio farmaceutico venne presto in-
trodotto nella cura delle malattie reumatiche, in
quanto già nel 1877 il bresciano Nemesio Bosisio
trattava 10 casi di reumatismo articolare acuto con
l’acido salicilico (52) ed il bolognese Giovanni
Brugnoli (Fig. 6) riferiva le sue esperienze su 26
pazienti reumatici, all’Accademia delle Scienze
della città felsinea (53).
Per finire, la storia dei salicilati continua nel No-
vecento,
ed a questa poi sono legati, sia pure indi-
rettamente, anche i nomi di altri due ricercatori ita-
liani. In una recente rassegna storica sullo svilup-
po delle prostaglandine (54),
il canadese Thomas
F. Baskett segnala un lavoro del 1906, condotto da
Jappelli e Scaffa (55), che sarebbero stati i primi a
studiare gli effetti biologici degli estratti di ghian-
dola prostatica. Lo studio si riferisce agli effetti
tossici di questi estratti, e non vi sarebbe nulla che
faccia pensare ad un ruolo delle prostaglandine (gli
autori suggeriscono semmai quello di una nucleo-
pr
oteina presente nell’estratto), ma il loro pur pic-
colo contributo ha aperto la strada ad un filone di
ricerca, che, a distanza di tanti anni, vale a dire nel
1970, avrebbe portato John Robert Vane, ad iden-
tificare il meccanismo d’azione dell’aspirina e dei
f
ar
maci “aspirin-like” (così recita il titolo del lavo-
ro), cioè degli anti-infiammatori non steroidei (56).
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