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La distanza tra Vangelo e cristianesimo

Authors:
  • FACULDADE CATOLICA DO AMAZONAS

Abstract

Sono nati così, poveri piccoli! Sono nati in quel contesto in cui bisognava alzarsi, salutare educatamente, rispettare l'ordine delle cose. C'erano i grandi e i piccoli, i maestri e i discepoli, i preti e i laici. Ordini di grandezze diversi (ma non siamo tutti figli e figlie di Dio?). Ordini e grandezze che bisognava rispettare. Era l'epoca in cui il rispetto dell'ordine e la grandezza si pensava che fossero posti tutti quanti nella distanza, nel mantenere le dovute distanze. Nessuno a quell'epoca sospettava nulla, sospettava che, in realtà, il rispetto poteva voler dire altre cose, altre misure, altre qualità. Si pensava che bastasse mantenere le distanze, le dovute distanze, e tutto era perfettamente in ordine, al suo posto. Perché era questo, in definitiva, l'importante: che tutto rimanesse sempre al suo posto. Perché, a quell'epoca c'era un posto per tutto e tutti sapevano il posto di tutti. L'importante era non far confusione, non scambiare di posto, non fare cose che potessero turbare l'ordine delle cose, creare disordine.
La distanza tra Vangelo e cristianesimo
Paolo Cugini 05/07/2018, 18:06
Tratto da: Adista Documenti n° 26 del 14/07/2018
Tags:
Manipolazione Della RealtàGesùDio Della BibbiaFiglio Di Dio
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Sono nati così, poveri piccoli! Sono nati in quel contesto in cui bisognava alzarsi, salutare educatamente,
rispettare l’ordine delle cose. C’erano i grandi e i piccoli, i maestri e i discepoli, i preti e i laici. Ordini di
grandezze diversi (ma non siamo tutti figli e figlie di Dio?). Ordini e grandezze che bisognava rispettare. Era
l’epoca in cui il rispetto dell’ordine e la grandezza si pensava che fossero posti tutti quanti nella distanza, nel
mantenere le dovute distanze. Nessuno a quell’epoca sospettava nulla, sospettava che, in realtà, il rispetto
poteva voler dire altre cose, altre misure, altre qualità. Si pensava che bastasse mantenere le distanze, le
dovute distanze, e tutto era perfettamente in ordine, al suo posto.
Perché era questo, in definitiva, l’importante: che tutto rimanesse sempre al suo posto. Perché, a quell’epoca
c’era un posto per tutto e tutti sapevano il posto di tutti. L’importante era non far confusione, non scambiare
di posto, non fare cose che potessero turbare l’ordine delle cose, creare disordine. Educare significava
insegnare fin da piccoli il delicato sistema dei posti e delle dovute distanze, vale a dire, l’ordine delle cose.
Nessuno si era mai posto il problema dell’origine di tanto ordine e distanza: c’era e basta.
Soprattutto, però e qui viene il bello nessuno si era mai chiesto chi fosse stato ad imporre quest’ordine
fatto di gradi diversi e di distanze. Nessuno, quindi si era mai chiesto: ma questo ordine che è in realtà un
grande disordine, perché non tiene conto della realtà, che genera diversità, che alimenta la molteplicità delle
cose, che dice prima di tutto la sua molteplicità chi lo ha voluto? Da dove viene? A che cosa serve?
Si era sempre fatto così e la buona educazione faceva di tutto perché tutto rimanesse sempre allo stesso
posto e, soprattutto, alla giusta distanza. Abituare la gente a pensare che la realtà sia piatta, significava
indurre nelle giovani menti un pensiero fisso: si è sempre fatto così, che vuole dire che non si può fare
diversamente, che occorre imparare a riprodurre in modo costante nel tempo l’ordine delle cose, con le loro
distanze. Si trattava è questo il grande gioco, la più grande sovversione mai elaborata nella storia
dell’umanità – di bloccare il presente, di tenerlo fermo, di non permettere che da questo punto così
importante del flusso della storia, potesse uscire la molteplicità, potesse cioè esprimersi la realtà così come si
manifesta, vale a dire come diversità, come creatività. Come fare per bloccare il presente? In che modo far
credere perché questa è l’educazione, per lo meno quella che deve difendere degli interessi di parte, quella
che deve difendere una casta, quella casta che nelle distanze occupa il gradino più alto, quello a cui tutti
devono rispetto e riverenza: spacciare per vero c che in realtà è falso che tutto è fermo, che tutto è
sempre immobile, che la realtà è fissa e che le cose si devono fare sempre allo stesso modo e che le distanze
sono sempre uguali? Basta spostare il presente nel futuro, basta educare a progettare continuamente e
spostare il presente in avanti che il gioco è fatto, che nessuno potrà percepire la dinamicità del presente, la
pluralità della realtà, soprattutto questo: nessuno potrà cogliere la verità della realtà. Edu- care le persone a
identificare la realtà con l’unicità: è stato questo il grande meccanismo messo in atto nel mondo Occidentale
per nascondere il presente e, con esso, non permettere di cogliere la realtà come manifestazione di pluralità.
Sono diversi i prodotti culturali di questa grande manipolazione della realtà. Primo fra tutti la logica della
pensione. Sacrificare il presente per vivere nel futuro; sacrificare la vitalità della giovinezza per poter vivere in
pace l’ultima fase della vita. Forse è perché non ci fermiamo a riflettere, che questa impressionante
aberrazione ci sembra normale, reale: ci sembra giusta. Del resto, si è sempre fatto così. Si dice che sia una
delle migliori conquiste del mondo Occidentale, di questa cultura che si ritiene la più elevata di tutte. Ma se
gratti un po’, carissimo amico, se poni un po’ di attenzione, carissima amica, ti renderai conto che questa
cultura così elevata è, in realtà, estremamente brutale. Quanti giovani, infatti, inseriti in questa logica della
pensione, diventano vecchi senza accorgersene? O meglio, forse se ne accorgono, forse vorrebbero fermare il
meccanismo maledetto nel quale si sono ficcati, forse capiscono che la vita non può essere quella che stanno
vivendo, fatta di ore fisse, di settimane sempre uguali, di orari rigidi, ma non riescono a saltarne fuori, perché
gli viene detto che è il migliore dei sistemi possibili.
E ad un certo punto ci credono. Ad un certo punto della vita non puoi che crederci, che fartene una ragione.
È il sacrificio richiesto per il beneficio di pochi. C’è tutto un sistema educazionale che lavoro per riprodurre
questo sacrificio per non farlo sentire tale, anzi per spacciarlo come il senso della vita. E allora arrivi alla fine
delle vita, dove hai tempo di guardarti indietro, dove ti viene dato il tempo per guardarti indietro, perché a
quell’età non sei più pericoloso, e ti disperi perché capirai che hai sprecato la tua vita dentro un ingranaggio
che non ti ha dato spazio, un meccanismo che ti ha privato di tutto, soprattutto della vita. Ma ormai è tardi, la
frittata è fatta, la vita è stata sacrificata. E la domanda emerge immediatamente: per cosa?
Accanto a questa grande aberrazione, ce n’è una seconda della stessa grandezza, ma che cammina per
un’altra direzione: è l’idea d’identità. Se la realtà non è colta nella sua dinamicità e pluralità, nelle diversità di
possibilità che può offrire per l’esistenza, allora, per il fatto che viene bloccata, si è fatto di tutto per far
passare l’idea che c’è un’unica possibilità di vita. Tutta l’adolescenza e la giovinezza vengono preparate per
educare le giovani anime a non perdersi, a non perdere tempo, a rimanere concentrate sul proprio futuro e
il presente? E la realtà che passa per quell’unico punto che è il presente? per riuscire a costruire la propria
vita modellata su di un’unica identità. È questa la parola magica: l’identità, che la s’identifica immediatamente
con un’altra molto sofisticata: dignità. Sarai degno solamente se sarai fedele alla tua unica identità. Perché c’è
un’identità da vivere che corrisponde esattamente al posto che occuperai nella società, che rientra in
quell’ordine di grandezze di cui parlavamo poco sopra, ordine di grandezze che dicono di distanze da
rispettare. Perché è questo che rivela il subdolo meccanismo dell’identità unica, che non puoi essere
nient’altro che ciò che diventi. Nell’identità l’essere si deve identificare con il desiderio e, se ciò non avviene,
si fa di tutto per farcelo stare.
Ci sono dei delicati sistemi messi in atto per fare in modo che nell’identità unica il desiderio coincida
esattamene con l’essere. La depressione nasce da questo scompenso, dalla non piena identificazione tra
essere e desiderio, per cui qualcuno ad un certo punto, inizia a desiderare qualcosa che è rimasto fuori
dall’identità assunta. Basterebbe porsi sul punto del presente in cui scorre come un fiume la realtà nella sua
dinamicità, vitalità e pluralità per accorgersi che quelli che noi chiamiamo scompensi esistenziali non sono
altro che costruzioni culturali che, nella realtà, quella vera, quella che passa per il presente della vita, non
esistono.
E nessuno sembrava importarsi che la vita stava diventando noiosa, che con tutto quell’ordine aumentava
giorno dopo giorno la voglia di disordinare, di mettere un po’ di scompiglio per vedere cosa succedeva.
Perché è questo il punto, carissimo mio: più imprimi degli ordini e più provochi i disordini. Perché non siamo
tutti uguali. Ci sono gli ordinati, che fanno tutte le cose a puntino, che pensano e ci credono che vivere
consista proprio nel fare tutto a modo, nel rispettare tutte le regole e le dottrine. E poi ci sono altri che, ad un
certo punto si stufano; ci sono altri ancora che si stufano subito, perché pensano che il bello della vita non sia
nell’ordine meticoloso, ma sia nascosto al di là dell’ordine, che non vuole dire immediatamente il disordine
anche se a volte sembra così e se è nascosto lo si deve cercare per poterlo trovare. E lo puoi trovare solo se
impari a vivere nel presente, a ripulire la tavola della vita da tutto ciò che vita non è, da tutte quelle logiche
che incatenano il presente, da tutte quelle dinamiche che ti spostano continuamente verso il futuro.
La cosa strana, anzi addirittura sorprendente, è che ad un certo punto, proprio questa educazione alla
distanza, tutto questo controllo del presente, tutto quell’ordine imposto, l’hanno chiamato educazione
cristiana. Addirittura! E poi, lo hanno fatto e sostenuto senza nessun ritegno, senza nessun tipo di vergogna,
senza nessun tipo di pudore, senza nessun sospetto di un abuso, di una idiosincrasia: no, tutto normale. Ad
un certo punto è divenuto normale ciò che normale non era, vale a dire che il Vangelo fosse qualcosa di
ordinato per gente per bene, corretta, che rispetta la logica delle distanze. Ad un certo punto hanno fatto
credere, quei furboni, che la moderazione era un valore evangelico, mentre la ribellione un disvalore. Che
grandi furfanti! È chiaro che dentro il sistema che avevano strutturato sembrava proprio così, sembrava che le
cose stessero proprio in quel modo. E da fuori, da quello che si vedeva, sembrava proprio che quella
religione nata dal Vangelo chiamata cristianesimo, fosse roba per gente moderata, che stimolasse la
tranquillità, che aiutasse le persone a vivere in pace, serene, senza problemi. Sembrava, addirittura ed è
questa la massima furberia che il sistema di distanze fosse qualcosa di religioso, addirittura di sacro. Che
birboni! E così, anche il cristianesimo era entrato nell’ordine delle distanze. C’era il prete da una parte e il
popolo dall’altra. C’era il prete in un presbiterio che nei secoli è divenuto sempre più distante, che diceva le
sue cose e in basso, molto distanti, i fedeli che, per la maggior parte dei casi si trattava di donne fedeli.
Anche loro, racchiuse nella loro distanza, facevano le loro cose: ognuno nel proprio mondo distante, pur
essendo materialmente vicini. Sono trascorsi secoli e secoli in queste distanze assurde e nessuno, o
perlomeno così sembra, nessuno si chiedeva che senso avesse tutta questa distanza, tutta questa
separazione. Non solo nessuno si chiedeva che senso avesse, ma soprattutto, nessuno si chiedeva perché pur
essendo vicini bisognava vivere come se fossimo distanti.
Eppure Lui, il Signore in tutti i sensi –, Lui Gesù, il figlio di Giuseppe e di Maria, quando inizia l’attività
pubblica la prima cosa che fa è proprio quella di ridurre le distanze. Lui, quello che il popolo identificava
come il Messia atteso e annunciato dai profeti, quando inizia l’attività pubblica, rompe tutte le distanze, le
accorcia in modo impressionante. È un Maestro, un Rabbi, ma è così diverso dagli altri maestri per il modo di
fare, per il modo di porsi, per il modo di stare al mondo, che la gente del popolo rimane subito entusiasta.
Erano abituati con i farisei, i sadducei, con i dottori della legge, così pomposamente lontani dalla gente, così
distanti da sembrare irraggiungibili. Si erano abituati alle leggi, ai precetti, all’osservanza esterna di regole e
norme che i farisei applicavano, ritenendo tutto ciò religioso, più religioso, che lasciava sbigottita la grande
libertà di movimento di Gesù. Il popolo lentamente si era abituato alla distanza, alla riverenza nei confronti
dei signori del culto.
E invece Gesù, pur essendo un Maestro e, per certi aspetti, uno di loro, pur essendo uno di loro ma, senza
dubbio, diverso da loro, era così diverso da sembrare uno del popolo. Gesù si lasciava toccare. Perché Lui
non poneva distanze, non parlava dall’alto al basso, non si faceva più importante degli altri, ma si lasciava
toccare, e lui stesso toccava, baciava, accarezzava. E Gesù camminava per le strade, attorniato dalla gente e
insegnava che Dio è un Padre con un cuore di Madre. E camminava per le strade con i sui discepoli e le sue
discepole: camminava con loro, in mezzo a loro. Era bello vederlo giocare con i bambini! Era bello vedere
Gesù il Figlio di Dio, camminare per le strade con vestiti come quelli della gente. Perché è chiarissimo che se
vuoi mantenere le distanze, se vuoi far sapere agli altri che appartieni ad una casta, alla casta sacerdotale, che
fai parte di qualcosa di diverso, che nel rapporto delle distanze appartieni a coloro che devono essere riveriti;
se ci tieni a questo tipo di linguaggio, allora caro mio, vestiti pure, metti i tuoi vestiti sacri, sgargianti e
lussuosi; fai sentire tutto il peso della simbologia sacrale; fai capire a tutti chi sei, o meglio, chi pensi di
essere. Eppure Gesù, cioè colui che dicono che sia all’origine di quella religione chiamata cristianesimo, tutta
quanta ben strutturata nel sistema delle distanze, tutta quanta organizzata nelle sue celebrazioni sacrali, con
l’arredo e il vestiario sacrale, ebbene Lui, che dovrebbe essere il fondatore di tutta questa roba, vestiva come
tutti noi, camminava in mezzo al popolo e con il popolo: sembrava uno di noi, senza alcun tipo di distanze.
Non è un caso, allora, se lo troviamo costantemente in polemica con i farisei e i sadducei; non è un caso se
proprio Gesù, il Maestro, il Figlio di Dio, che camminava in mezzo alla strada con i suoi discepoli e le sue
discepole, vestito normalmente come tutti, mangiando assieme a loro, fosse costantemente in rotta con
coloro, i dottori della legge, che insegnavano dall’alto al basso, e vestivano le vesti sacre fatte apposta per
loro, per far capire chi erano e, soprattutto, a che distanza dovevano rimanere gli altri, la plebe. Gesù se la
prendeva con il loro modo d’insegnare obbligando il popolo a portare il peso di precetti assurdi, che loro
stessi non toccavano nemmeno con un dito. Gesù li rimproverava perché con il tempo avevano sostituito la
Parola di Dio, che è amore e giustizia, con le tradizioni umane, corrotte e meschine. Gesù, infine, li
rimproverava per le distanze assurde che avevano posto tra loro e il popolo.
E dall’altra parte c’era Dio, il Dio della Bibbia, il Dio desideroso d’incontrarsi con l’uomo e la donna, il Dio la
cui storia è un continuo processo di avvicinamento verso l’uomo, la donna, la terra. Sino ad arrivare a Gesù,
suo Figlio, la massima espressione dell’annichilamento di tutte le distanze tra Dio è l’umanità. Gesù: uno di
noi, il Dio con noi. E allora, viene da pensare che dove c’è distanza, il Dio di Gesù Cristo fatica ad entrarci;
dove c’è volontà di porre distanze, di segnare una differenza di quantità, Gesù, il Figlio di Dio che è venuto
per eleminare ogni distanza, e quindi ogni ingiustizia, non trova spazio. Al contrario, però, dove c’è volontà di
uguaglianza, dove le persone vivono accogliendosi per quello che sono, vale a dire figli e figlie di Dio, allora
senza dubbio lì c’è il Signore della storia. Dove c’è un pezzo di umanità in qualsiasi posto del mondo, in cui le
persone vivono come fratelli e sorelle, condividendo ciò che hanno, accogliendo chiunque senza distinzioni
di razza, sesso o di qualsiasi altra cosa, allora, carissima amica, lì senza dubbio il Signore Gesù è con noi e in
mezzo a noi.
* Agnolo di Cosimo, detto il Bronzino, Discesa di Gesù al Limbo (1552), particolare - foto tratta da Wikimedia
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