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A clinical cognitive model of verification and case conceptualisation: Life themes and plans implications of biased beliefs: Elicitation and treatment (LIBET)

Authors:

Abstract

Life themes and plans Implications of biased Beliefs: Elicitation and Treatment (LIBET) is a clinical conceptualisation model for emotional disorders. It belongs to the clinical and therapeutic paradigm of CBT (Cognitive Behavioural Therapy) with some additions from constructivistic and developmental areas. The LIBET model conceptualises emotional disorders on two axes: (1) attentional focus on vulnerable negative mental states arranged in automatic self beliefs — so-called «life themes» — and influenced by experiences perceived as intolerably painful during personal development; (2) rigid management of «life themes» implemented using safety behaviours crystallised in inflexible avoidant, controlling and immunising/rewarding strategies, adopted even at cost of giving up significant areas of personal development. These strategies can be temporarily and partially functional, but in the long run hinder personal development and beyond a certain level of dysfunction can lead to an emotional disorder. The LIBET model aims to help the development and implementation of a CBT treatment plan during which patients are encouraged to recognise, challenge and give up their dysfunctional plans, to agree to be more in emotional touch with their «life themes» and to stop evaluating them as intolerable.
Edizioni Erickson – Trento Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale (pp. 73-92)
Vol. 23, n. 1, 2017
Procedure e protocollo di terapia
LIBET – prima parte: le procedure
ABC-LIBET, laddering e disputing
Sandra Sassaroli Studi Cognitivi, Milano, Modena e San Benedetto del Tronto
Gabriele Caselli Studi Cognitivi, Milano, Modena e San Benedetto del Tronto
Carolina A. Redaelli Studi Cognitivi, Milano, Modena e San Benedetto del Tronto
Giovanni M. Ruggiero Psicoterapia Cognitiva e Ricerca, Milano e Bolzano
Riassunto
L’articolo descrive le procedure di terapia Life themes and plans Implications of biased Beliefs: Elicitation
and Treatment (LIBET). La LIBET integra procedure di terapia di disputa razionale con interventi
costruttivisti ed evolutivi. Le procedure di accertamento sono soprattutto il laddering kelliano e la
ricostruzione evolutiva della storia di vita. Il laddering è teso a ricostruire le self-belief e gli stati emotivi
— chiamati tema di vita — sottostanti i disturbi emotivi mentre la storia di vita serve ad accertare
le situazioni relazionali in cui il tema è stato appreso. Nella fase di accertamento si esamina anche la
costruzione di piani precoci di gestione disfunzionale del tema che poi sfociano in sintomi. Gli interventi
di cambiamento terapeutico integrano la disputa razionalista con ristrutturazioni costruttiviste.
Parole chiave: Terapia cognitivo-comportamentale, Concettualizzazione clinica, Disturbi
emotivi, Piani disfunzionali, Temi di vita.
Abstract
Procedures and protocol of LIBET therapy – part one: ABC LIBET, laddering and
disputing procedures
This article describes the procedures of Life themes and plans, Implications of biased Beliefs: Elicitation
and Treatment (LIBET) therapy. LIBET integrates procedures of rational disputation, constructivist
reframing and developmental interventions. The assessment procedures are primarily Kellian laddering
and assessment of personal life history. Laddering aims to assess self-beliefs and emotional states –
called life theme- prominently underlying clients’ emotional disorder, while personal life history aims
to assess the relational situations in which the life theme was learned. The assessment also examines
the construction of early dysfunctional plans aimed at managing the life theme, which then result in
symptoms. Therapeutic change interventions integrate rational disputation and constructivist reframing.
Keywords: Cognitive behavioural therapy, Clinical conceptualisation, Emotional disorder,
Dysfunctional plan, Life theme.
Teoria
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IL MODELLO COGNITIVO LIBET
Il Life themes and plans Implications of biased Beliefs: Elicitation and Treatment
(LIBET) è un modello di concettualizzazione del caso clinico descritto in dettaglio in
Sassaroli, Caselli e Ruggiero (2015). In questo articolo descriviamo come la LIBET possa
essere anche uno strumento operativo di lavoro nella seduta di terapia cognitiva, similmente
a quanto è possibile fare con l’ABC nella terapia razionale emotiva comportamentale di
Albert Ellis (Ellis e Grieger, 1977).
Ricapitoliamo i principi clinici della LIBET. Obbedendo ai principi del paradigma
clinico e terapeutico Cognitive Behavioural Therapy (CBT) la LIBET sostiene che le di-
sfunzioni comportamentali e la sofferenza emotiva dipendono dall’attivazione di processi
cognitivi automatizzati disfunzionali di tipo valutativo e che la modificazione dei signi-
ficati cognitivi influisce positivamente ed efficacemente sulla sofferenza emotiva e sulle
disfunzioni comportamentali (Beck, 1976; Clark, Beck e Alford, 1999; Dobson e Dozois,
2010; Ellis e Grieger, 1977; Goldberg, 2001; Kazdin, 1978; Kelly, 1955; Mahoney, 1974;
Meichenbaum, 1977).
Tuttavia la LIBET tenta di integrare i principi CBT standard, che privilegiano i conte-
nuti cognitivi, con elementi di tipo processuale, costruttivista ed evolutivo. L’attenzione
per gli elementi processuali è il frutto della recente evoluzione della CBT, dovuta a un
ripensamento su alcuni aspetti ancora oscuri del meccanismo d’azione della CBT. Infatti la
ricerca empirica non è riuscita a produrre le evidenze definitive della relazione diretta tra
rappresentazioni mentali della conoscenza di sé (self-knowledge e self-beliefs) e architettura
dei processi disfunzionali emotivi e comportamentali (process architecture) e a dimostrare
conclusivamente che l’efficacia della CBT dipenda dalle modificazioni delle rappresenta-
zioni cognitive esplicite (Wells e Mathews, 1994). Si iniziò a pensare che il cambiamento
terapeutico non avvenisse solo attraverso la modificazione diretta delle rappresentazioni
mentali della conoscenza di sé e che occorresse agire anche sulle disfunzioni di processo
(Hayes, 2004; Wells, 2008).
Nel nuovo paradigma la riattivazione dei processi può avvenire attraverso interventi
esperienziali ed emotivi, come guided-imagery, role playing ed esposizione esperienziale
e interventi narrativi e cognitivi di ricostruzione del processo di apprendimento e di croni-
cizzazione delle distorsioni (biases) nel corso della storia evolutiva e personale del cliente
e nell’evolversi delle relazioni con altri significativi. Diventa quindi importante ricostruire
la storia personale e i significativi soggettivi del cliente (Guidano e Liotti, 1983; Lorenzini
e Sassaroli, 1995).
Al tempo stesso il lavoro sulle rappresentazioni esplicite si porta sul piano metacogni-
tivo. Le distorsioni metacognitive non sono schemi distorti di valutazione della realtà in
stile CBT. Esse sono semmai credenze sulla stessa attività mentale, meta-rappresentazioni
disfunzionali di stati mentali emotivamente impegnativi e dolorosi ma non intrinsecamente
patologici (Wells, 2008). La terapia non si focalizza più sulla modificazione dei contenuti
mentali attraverso il ragionamento logico-deduttivo, ma sull’addestramento a utilizzare in
maniera differente le funzioni mentali che gestiscono le informazioni negative, smettendo
di concentrare su di loro attenzione e interesse (Hayes, 2004; Wells, 2008).
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Il bisogno di nuovo modello di concettualizzazione clinica dipende dal fatto che queste
innovazioni non sono confluite in un paradigma omogeno. Questo ha danneggiato la comu-
nicazione tra i clinici e ha tolto alla terapia cognitiva una delle sue prerogative, la facilità
di comunicazione all’interno di un linguaggio condiviso. Inoltre anche la tendenza dei
nuovi modelli a sottovalutare i contenuti a scapito dei processi, sebbene scientificamente
ineccepibile, finisce per diminuire la semplicità intuitiva del paradigma CBT standard
(Sassaroli, Framba e Ruggiero, 2016).
Insomma, ci sono dei rischi a cui occorre dare una risposta pratica. Ridimensionare il
lavoro sugli schemi, come fanno i modelli processuali, non significa eliminare il lavoro
su contenuti. Per rispondere a questo bisogno, proponiamo una griglia di accertamento
clinico in cui sia possibile descrivere le variabili di contenuto, ovvero le credenze cogni-
tive, in termini processuali secondo due assi principali: la base evolutiva che ha reso gli
individui emotivamente vulnerabili e che abbiamo chiamato «temi dolorosi» e i processi
di mantenimento rimuginativi e che abbiamo chiamato «piani semi-adattivi» (Sassaroli,
Caselli e Ruggiero, 2016).
I «temi dolorosi» costituiscono focalizzazioni attenzionali su stati mentali negativi
vulnerabili organizzati in credenze automatiche negative di sé (self-belief) (Wells, 2008)
e caratterizzati da un’elevata attivazione emotiva influenzata da esperienze dello sviluppo
personale percepite come intollerabilmente dolorose (Panksepp, 1998). Per delineare una
nosografia preliminare dei temi e tutta da confermare empiricamente, ci siamo basati
sugli stati di vulnerabilità emotiva più ricorrenti in letteratura scientifica. Un primo stato
di vulnerabilità è freezing/panico (Herman, 1992; Ogden, Minton e Pain, 2006; van der
Kolk, 1996) che abbiamo collegato al tema d’insicurezza personale in cui è percepita una
minaccia al bisogno di possedere un luogo protetto in cui la sicurezza personale sia ga-
rantita e in cui siano presenti figure significative affidabili in grado di fornire nutrimento
e accudimento. Le situazioni estreme di pericolo personale e sofferenza emotiva si situano
al di fuori della finestra di tolleranza dell’arousal emotivo all’interno del quale è possibile
elaborare costruttivamente le informazioni (Siegel, 1999); l’elaborazione di pensieri ed
emozioni avverrà in modi caotici, disorganizzati e accelerati con improvvise svolte verso
l’ottundimento, la demotivazione e l’anedonia (Ogden, Minton e Pain, 2006) che nei casi
più gravi può determinare una visione di sé improntata all’indefinitezza, disorganizzazione,
più agita in termini somato-sensoriali (Apparigliato, Pozzato e Zanon, 2016) che percepita
nelle emozioni ed elaborata concettualmente e verbalmente (Tarantino et al., 2016).
Un secondo stato sono la tristezza e la depressione (Bifulco et al., 2006; Kiernan e
Huerta, 2008; Huprich, 2003) che abbiamo collegato al tema del disamore, in cui l’am-
biente accuditivo è presente e non è contrastato il bisogno esplorativo del soggetto, ma il
tutto è fornito in un’atmosfera di deprivazione emotiva, affettività distanziante e in cui i
contatti corporei sono rari e impacciati.
Il terzo stato sono l’ansia e la paura (Bosquet e Egeland, 2006; Woodruff-Borden,
Morrow, Bourland e Cambron, 2002) che abbiamo collegato al tema dell’inadeguatezza
in cui la persona percepisce un ambiente personale sufficientemente caldo, accogliente e
rassicurante, ma anche un ambiente esterno pericoloso, in cui l’individuo non ha risorse
di fronteggiamento sufficienti; in stadi evolutivi successivi questa carenza di fronteggia-
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mento può presentarsi come un visione di sé caratterizzata da un senso di incompetenza e
incapacità (Tarantino et al., 2016).
Il quarto stato di vulnerabilità che abbiamo individuato sono la vergogna e la colpa
(Brewin, Firth-Cozens, Furnham e McManus, 1992; Huprich, 2003; Irons et al., 2006;
Kawamura, Frost e Harmatz, 2001; Vieth e Trull, 1999) che abbiamo collegato a un tema
dell’indegnità in cui l’ambiente accuditivo è presente, le funzioni esplorative non sono
contrastate ed è anche presente un certo calore affettivo, ma è anche presente uno stile
relazionale gravemente criticante, controllante e oppressivo in cui i valori regolativi sono
vissuti e trasmessi in maniera oppressiva, colpevolizzante e punitiva.
I «piani semi-adattivi» sono strategie di gestione rigida dei «temi dolorosi» realizzate
adottando comportamenti di sicurezza (safety behaviours; Salkovskis, 1991) anche a costo
di rinunciare ad aree significative di sviluppo personale. Queste strategie possono essere
temporaneamente e parzialmente funzionali. Esse possono essere invalidate da episodi
problematici che non possono essere gestiti con le consuete modalità povere e inflessibili
a cui si ricorreva prima della crisi invece di incrementare la flessibilità e il ventaglio di
soluzioni a disposizione. È quella che Kelly chiamava invalidazione. Alla lunga, i «piani
semi-adattivi» ostacolano lo sviluppo personale e oltre un certo livello di disfunzionalità
possono portare a disturbi emotivi.
Anche per i piani abbiamo delineato una nosografia preliminare da confermare empi-
ricamente. Il primo è il piano prudenziale, in cui l’individuo ha come piano l’evitamento
sistematico dei contesti esterni che potrebbero evocare gli stimoli avversivi e minacciosi.
La conseguenza è un danno allo sviluppo degli aspetti esplorativi e costruttivi dell’esistenza
e l’ostacolo allo sviluppo e alla verifica delle proprie competenze. Questi piani sono legati
a stati intenzionali di ansia e preoccupazione (Barlow, 2002; Blalock e Joiner, 2000).
Il secondo è il piano prescrittivo, in cui l’individuo cerca costantemente di controllare,
prevenire o risolvere gli stimoli avversivi che prevede nel futuro. Questo piano preventivo
può consistere sia nel semplice rimuginare e preoccuparsi che intervenendo sulla realtà e
la relazione. I piani prescrittivi si traducono in stati intenzionali di controllo compulsivo
(Barlow, 2002; Moulding e Kyrios, 2006; Ruggiero, et al., 2012; Sassaroli, Gallucci e
Ruggiero, 2008; Shafran, Cooper e Fairburn, 2002).
Il terzo è il piano immunizzante, in cui il soggetto gestisce i temi dolorosi cercando
esperienze e stati emotivi intensi e travolgenti che ipercompensino per contrasto positivo
gli stati depressivi, ansiosi e rimuginativi tipici dei temi dolorosi, quasi tentando di espel-
lerli dallo spazio attentivo. Il soggetto cerca di escludere dalla coscienza ogni minaccia
relativa al tema doloroso attraverso un’azione diretta sul suo stato interno: (1) riempiendosi
di parole e/o attività assorbenti che catturano ogni risorsa mentale fino alla dissociazione,
esprimendosi in termini somato-sensoriali (Apparigliato, Pozzato e Zanon, 2016) senza che
sia possibile una percezione emotiva ed elaborazione concettuale definita delle situazioni
problematiche (Tarantino et al., 2016); (2) fomentando con pensieri o azioni stati emotivi
alternativi e intensi (rabbia, sostanze eccitanti), (3) riducendo il livello di consapevolezza
(ad esempio sedativi come alcol). L’individuo cerca un’alternativa estrema agli stati ne-
gativi associati ai temi dolorosi, ma in questo modo conferma l’impossibilità di gestirli.
Questi piani sono legati a stati intenzionali di rabbia e/o desiderio (Critchfield, Levy,
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Clarkin e Kernberg, 2008; Digiuseppe e Tafrate, 2001; Martin e Dahlen, 2005; Spada,
Caselli e Wells, 2012).
Sulla scelta tra irrigidimento e flessibilizzazione dei piani si situa la biforcazione tra pato-
logia e adattamento. Nell’adattamento la persona, di fronte a una difficoltà, riesce a concepire
strategie alternative non contenute nei suoi piani. Insomma, incrementa la sua flessibilità.
Secondo la teoria LIBET invece nel caso della patologia la persona ritiene di poter supe-
rare l’invalidazione accentuando l’applicazione di un unico piano, ritenendo erroneamente
che il problema sia non la mancanza di varietà e flessibilità, ma l’incompleta e imperfetta
attuazione dei propri soliti piani. In questa maniera il soggetto tende a renderli più rigidi e
ripetitivi. Il sintomo dunque è il restringimento e l’irrigidimento dei piani del paziente. È
anche un segnale della mancanza di flessibilità e di alternative nell’affrontare i problemi.
La mancanza di alternative può essere dovuta a varie ragioni. In alcuni casi è frutto di
circoli viziosi autorigeneranti del tipo «paura della paura» (Beck, 1976; Guidano e Liotti,
1983; Lorenzini e Sassaroli, 1987; Dryden, 2009) che si mantengono attraverso un’inter-
pretazione catastrofica degli stati emotivi. In termini LIBET questi stati problematici si
potrebbero definire come un contatto con temi dolorosi che erano stati coperti dai piani
semi-adattivi. Questo eccesso di protezione porta il paziente a valutare come intollerabile
l’esperienza sintomatica. Il trattamento in questo caso prevede una riformulazione di questa
«intollerabilità» in termini di «dolorosità sopportabile».
Nel modello LIBET il piano semiadattivo si può rompere, diventando rigido nella sua
attuazione e con mancanza di alternative, secondo due modalità. Fondamentalmente, si
può rompere per invalidazione, a causa cioè di eventi di vita che ne impediscono la rea-
lizzazione: ad esempio un piano di controllo verrà invalidato dalla frustrazione del piano
ideale imposta invece dalla realtà.
L’esempio migliore è il panico. Il paziente chiede aiuto perché è disperato e depresso
dopo un esordio di panico. La sua depressione è raccontata come: mi sono sentito malato,
fragile, un uomo vinto e senza speranza. Da un punto di vista LIBET questa interpreta-
zione del sintomo è collegata al tema di fragilità e inadeguatezza (Guidano e Liotti, 1983;
Lorenzini e Sassaroli, 1987). Il piano di evitamento, funzionando troppo bene, gli aveva
permesso fino ad allora di tenersi lontano da questi sentimenti di fragilità. In tale modo,
tuttavia, il piano aveva accentuato la dolorosità soggettiva del tema, che era diventato quindi
terrificante. Il trattamento consiste nel rendere consapevole il paziente che l’intollerabilità
del tema dipende anche dalla rigidità del piano, e che intollerabilità del tema e rigidità del
piano si rafforzano a vicenda (circolo vizioso).
Quindi nella LIBET si concepisce il sintomo come frutto dell’irrigidimento di un
piano che causa un circolo vizioso autorigenerante. Il piano è plausibilmente ma non ne-
cessariamente il piano pre-morboso prevalente. Tuttavia vogliamo mettere l’accento sul
«non necessariamente». Un paziente con personalità pre-morbosa caratterizzata da ansia
subclinica e quindi dotato di un piano prudenziale, caratterizzato ad esempio da evitamen-
to, dopo l’invalidazione — invece di accentuare il suo piano pre-morboso e quindi farlo
sfociare in un disturbo d’ansia — può scegliere dal nulla un sintomo di abuso di sostanze
che corrisponderebbe a un irrigidimento di un piano immunizzante non particolarmente
evidente nella personalità pre-morbosa.
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In altre parole, è vero che riteniamo probabile che un piano prescrittivo potrebbe sfo-
ciare in sintomi ossessivi e quello prudenziale in sintomi ansiosi e così via. Tuttavia questa
ipotesi va presa come un’indicazione di massima. Non riteniamo che ci sia un rapporto così
grossolanamente biunivoco tra piani e sintomi. Può capitare che dopo l’esordio si accentui
un aspetto che non era così in primo piano nella personalità pre-morbosa. Una persona con
piani pre-morbosi evitanti potrebbe accentuare sintomi impulsivi coperti. Un caso classico
potrebbe esse una personalità passivo-aggressiva che, di fronte all’invalidazione, invece di
accentuare gli aspetti passivi fa esplodere gli aspetti aggressivi e rabbiosi. Questo aspetto
pre-morboso però non va concepito come inconscio, era semplicemente meno accentuato
o se vogliamo meno frequentemente utilizzato dal futuro paziente.
Insomma, il modello clinico LIBET aspira a fornire una griglia di accertamento dei
contenuti cognitivi, di concettualizzazione del caso clinico e di pianificazione del tratta-
mento che sia compatibile con l’interesse per gli aspetti processuali, evolutivi, esperienziali,
interpersonali, metacognitivi e relazionali emersi con la svolta processualista.
Il modello LIBET ha l’obiettivo di aiutare lo sviluppo e l’attuazione di un piano
terapeutico CBT nel quale il paziente è invitato a riconoscere, disputare e rinunciare ai
suoi piani disfunzionali, ad accettare di essere più in contatto emotivo con i propri temi di
vita e non ritenerli più intollerabili.
Il modello LIBET, infine, intende proseguire gli sforzi d’innesto nella terapia cognitiva
degli aspetti evolutivi (Mahoney, 1974, 1991, 2003; Guidano e Liotti, 1983; Lorenzini
e Sassaroli, 1995), interpersonali (Muran e Safran, 1993, Semerari, 1991; Dimaggio,
Montano, Popolo e Salvatore, 2015) ed emotivi (Johnson-Laird, Mancini e Gangemi, 2006).
ACCERTAMENTO E CAMBIAMENTO TERAPEUTICO NELLA LIBET
Accertamento: l’ABC e il laddering della LIBET
La LIBET non è solo un modello di concettualizzazione clinica ma vuole diventare
anche un protocollo di terapia integrata. Ogni protocollo è costituto da un elemento di base
e da una strutturazione per fasi. Le terapie cognitivo-comportamentali usano il modello
operativo ABC della REBT (Ellis, 1962; DiGiuseppe, Doyle, Dryden e Backx, 2015) o
si ispirano a esso pur senza nominarlo (Beck J., 2011) strutturando le situazioni proble-
matiche in eventi disturbanti (A), pensieri disfunzionali (B) ed emozioni dolorose (C).
Anche la LIBET interpreta il modello di base ABC aggiungendo i suoi elementi peculiari
descritti nel paragrafo precedente. Chiameremo «ABC-LIBET» questo elemento di base
del protocollo di terapia LIBET.
Anche l’ABC-LIBET, come l’ABC di Ellis, inizia con l’elicitazione di un problema
e di una situazione tipica in cui esso si presenta. Una volta individuati il B contingente di
quel momento, la LIBET sviluppa i pensieri utilizzando la tecnica di laddering, ovvero la
ricerca di costrutti sopra-ordinati.
La tecnica del laddering nasce nell’ambito della teoria dei costrutti personali di George
Kelly (1955). Per Kelly i contenuti cognitivi hanno un significato positivo o negativo in
base a catene di implicazioni, i cosiddetti costrutti.
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Il laddering ebbe grande fortuna nell’ambiente delle indagini di mercato e di pubbli-
cizzazione dei prodotti commerciali (Reynolds e Gutman, 1988). In ambito commerciale
il laddering si sviluppa come una tecnica d’intervista per analizzare la catena mentale dei
mezzi-fini che sottende la decisione del cliente di acquistare un certo prodotto, tentando
di ricostruire gli attributi qualitativi che hanno determinato il gradimento del prodotto, in
rapporto ai bisogni e ai valori del cliente stesso.
L’applicazione del laddering all’indagine clinica implica alcune modifiche (Chiari
e Nuzzo, 1984; Lorenzini e Sassaroli, 1987). La prima è che, mentre il laddering delle
indagini di mercato è positivo, quello clinico è invece tendenzialmente negativo. Gli
scopi e le credenze di un cliente che vuole comprare un prodotto sono credenze posi-
tive. Le domande che potremmo fargli sono domande tese a chiarire le ragioni di un
acquisto: perché lei potrebbe comperare un certo prodotto? Perché potrebbe piacerle?
A cose potrebbe servirle?
Non così condurremo l’intervista con un paziente affetto d’ansia. Il nostro paziente
non vuole acquisire qualcosa. Egli teme e non desidera, i suoi scopi non sono acquisitivi
ma di evitamento. Egli intende nascondersi, proteggersi, evitare un danno. Quindi in psi-
coterapia il principio del laddering consiste nel focalizzarsi soprattutto sulle implicazioni
negative degli eventi, delle situazioni o degli stati d’animo temuti. La domanda che si fa
per accertare un laddering è:
«Cosa c’è che non le piace in questo?».
In maniera simile a quanto accade nella tecnica della freccia discendente di Beck, la
catena del laddering porta spontaneamente a un self-belief. E — come ha spiegato Wells
— in maniera analoga a quanto si trova in Beck in cui il self-belief era l’esito prevalente
ma non esplicitamente obbligatorio, così i laddering esitano in una self-knowledge. In ogni
caso, come ha argomentato in maniera convincente Wells, i costrutti sopraordinati sono
delle self-knowledge (Wells, 2008).
L’ipotesi che nei paradigmi cognitivi i costrutti sopra-ordinati siano delle self-belief è
confermata esaminando la letteratura scientifica. In area CBT standard il disturbo ossessivo
compulsivo dipenderebbe da un sé responsabile (Salkovskis, 1985), l’ansia sociale da un
sé socialmente vulnerabile al giudizio (Clark e Wells, 1995), i disturbi alimentari da un sé
inefficace e perfezionistico (Fairburn e Harrison, 2003) e la depressione da un sé fallito
(Beck, Rush, Shaw e Emery, 1979). Nei modelli costruttivisti di Guidano e Liotti (1983)
e Lorenzini e Sassaroli (1995) troviamo il sé debole/fragile dell’ansioso, il sé non amato
del depresso, il sé criticato e/o indefinito del disturbo alimentare e anche un sé ostile. E
anche il timore di colpa dell’ossessivo teorizzato da Mancini è imparentato con un sé,
questa volta colpevole (Mancini, D’Olimpio e D’Ercole, 2001).
La self-belief e il disagio emotivo ad essa legata costituiscono il primo mattone del
tema. Il secondo mattone è il collegamento tra la self-belief e storia di vita. Infatti nella
tradizione clinica italiana la self-knowledge è appresa nella storia di vita (Guidano e Liotti,
1983; Lorenzini e Sassaroli, 1995). L’obiettivo è individuare altri ABC, detti «ABC della
storia di vita», in cui si chiede al paziente una situazione passata (l’A) in cui egli abbia
reagito in maniera analoga o legata ai problemi cognitivi ed emotivi del presente, insomma
un A passato che contenesse B e C simili a quelli attuali.
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In questo caso però non ci si accontenta di singoli episodi, ma di una più generale si-
tuazione relazionale, una descrizione ampia e particolareggiata della qualità della relazione
con le figure significative:
«Mi racconta qualcosa del suo rapporto con le figure significative durante la sua cre-
scita? Come era il suo rapporto con loro? Mi racconta qualche episodio significativo in
momenti diversi della sua crescita?».
E poi, in maniera più specifica si chiedono delle situazioni:
«Dove ha imparato a vedersi così? Cerchiamo uno o più episodi durante la sua infanzia/ado-
lescenza in cui si è sentito (emozione dolorosa del tema) e/o si è visto come ora (self-belief)».
A questo punto si accerta la self-belief chiedendo:
«Come si sentiva considerato dalle sue figure significative in quella situazione?».
In tale modo si arriva a un tema LIBET. Questo tema può essere lasciato in una for-
mulazione personalizzata sul caso singolo o approssimato a uno dei temi preliminari pro-
posti nel manuale di accertamento della LIBET (Bassanini et al., 2014) e descritti in un
precedente lavoro (Sassaroli, Caselli e Ruggiero, 2016). A questo punto si approfondisce
il C emotivo che può essere l’accertamento di un comportamento di sicurezza (safety
behaviour), un coping disfunzionale con cui il paziente tenta di controllare la sofferenza
emotiva (ad esempio, un evitamento ansioso) o ancora, della componente emotiva del tema
(ad esempio, l’ansia stessa).
Si prosegue domandando:
«In quella situazione cosa ha provato e cosa ha fatto?».
Come già scritto nella LIBET i comportamenti di sicurezza sono denominati «piani»,
ovvero dei modelli di gestione rigida dei «temi di vita», effettuati usando comportamenti
cristallizzati in strategie inflessibili evitanti, controllanti e immunizzanti/gratificanti. Come
nel caso del tema, anche il piano può essere descritto in una formulazione personalizzata
sul caso singolo o approssimato a uno dei piani preliminari proposti nel manuale di accer-
tamento della LIBET (Bassanini et al., 2014) e descritti in un precedente lavoro (Sassaroli,
Caselli e Ruggiero, 2016). Inoltre, anche il piano è poi radicato in un ABC di storia di vita:
«Dove ha imparato a fare così? Dove ha imparato a ritenere che fosse giusto/conve-
niente fare così e/o che questo la aiutasse?».
Ultimo passo del laddering LIBET è il cosiddetto ABC di invalidazione. Il concetto di
invalidazione è anch’esso kelliano e indica il momento in cui una situazione smentisce in
maniera inequivocabile un’ipotesi predittiva, rendendola inutilizzabile (Kelly, 1955). Nella
LIBET il concetto d’invalidazione è applicato al piano. Si ipotizza che c’è stato un momento
in cui il costo emotivo e comportamentale del comportamento di sicurezza ha superato i
vantaggi protettivi e il bilancio piano ha smesso di essere in attivo. Il concetto d’invalidazione
è importante per comprendere come il paziente è passato da una personalità pre-morbosa in
cui erano presenti alcuni piani rigidi ma non ancora disfunzionali alla disfunzionalità pato-
logica del sintomo. Nel paragrafo successivo spieghiamo più in dettaglio questo passaggio.
L’episodio ABC di invalidazione si può accertare con la domanda:
«Cosa è successo prima di stare male? Quando questo comportamento ha smesso di
esserle utile? Come mai non funziona più? Quando ha capito che fare così le faceva più
male che bene? Cosa è successo che ha rotto il piano?».
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È possibile anche accertare l’invalidazione seguendo un percorso inverso, ovvero par-
tendo dai sintomi per arrivare a capire come e quale piano si è rotto. Si può partire dalla
domanda terapeutica, chiedendo:
«Quando è iniziato il problema per cui è arrivato in terapia? Come ha iniziato a sentirsi
in quel momento? Cosa non ha funzionato in quella situazione per lei?».
Naturalmente, se fosse strategicamente opportuno, si può anche approfondire il piano
prima del tema. In questo caso le domande sul safety behaviour devono precedere quelle
della situazione dolorosa e vanno adattate. Quindi, dopo avere accertato la self belief (ad
esempio «sono uno stupido») si può chiedere:
«Cosa faceva da sempre per non sentirsi così?».
Così emerge il piano nella sua inflessibilità, da cui poi si può accertare il tema chie-
dendo:
«Quindi questo piano le è stato utile per stare lontano da qualcosa che chiamiamo un
«tema doloroso?».
A questo punto si può approfondire il tema tornando alla domanda sull’ambiente di
crescita:
«Mi racconta qualcosa del suo rapporto con le figure significative durante la sua cre-
scita? Come era il suo rapporto con loro? Mi racconta qualche episodio significativo in
momenti diversi della sua crescita?».
Infine si accerta quanto il paziente abbia rimuginato sui temi e piani. Questa domanda
richiede un attento accertamento del rimuginio e una condivisione di questo concetto. Una
volta ottenuto questo, la domanda può essere diretta:
«Per quanto tempo ci rimugina su questo?».
Oppure in maniera indiretta, chiedendo come il paziente «usa» i dolorosi self-belief
auto-svalutativi, cercando di capire se e quanto ci rimugina sopra. In ogni caso rimandiamo
alla letteratura di terapia metacognitiva (Wells, 2008) per un’attenta disanima dell’accerta-
mento del rimuginio. L’ipotesi della LIBET è che temi e piani siano patologici in quanto
generano rimuginio e polarizzazione attentiva.
CAMBIAMENTO E RISTRUTTURAZIONE NELLA LIBET
Una volta accertati piani e temi, si passa al trattamento, che è una disputa cognitiva
adattata alla griglia LIBET. Tendenzialmente si tratta di disputare l’utilità dei piani e l’in-
tollerabilità dei temi, nonché le auto-denigrazioni collegate ai temi stessi. Naturalmente
l’intervento va collegato a eventuali interventi di psico-educazione e decatastrofizzazione
di sintomi tradizionalmente collegati a credenze negative di tipo ansioso o depressivo
secondo la tradizione cognitiva standard.
Disputa pragmatica del sintomo come piano
Come scritto precedentemente, la LIBET concepisce il sintomo come un irrigidimento
e un restringimento di un piano in una condotta rigida e ripetitiva. Una volta chiarito che
l’intollerabilità del tema è in rapporto con la rigidità del piano, si mette in discussione la
Psicoterapia Cognitiva e ComportamentaleVol. 23 - n. 1 2017
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funzionalità del piano. Si tratta quindi di una disputa pragmatica classica di stile REBT,
e la domanda è:
«A che le serve fare così?».
Nella REBT la disputa pragmatica è un tentativo pratico e immediato di sospensione
del sintomo. Nella LIBET invece il terapeuta tenta di collegare il sintomo alla situazione
invalidante in cui il solito piano del paziente non ha funzionato e che in teoria avrebbe
dimostrato che il piano non può esser utilizzato sempre e comunque, soprattutto in rap-
porto alla difesa dal tema. Purtroppo il paziente non ha reagito flessibilizzando il piano,
ma accentuandolo e trasformandolo in un sintomo.
Per questo il terapeuta cerca di rendere consapevole il paziente affermando che lui ha
reagito alla situazione invalidante non flessibilizzando il piano, ma cercando di applicarlo
con ancora maggior forza e così facendo irrigidendolo. Insomma il paziente ha scambiato
la parziale funzionalità pre-morbosa del piano per una sua funzionalità assoluta e ha errone-
amente ritenuto che la reazione giusta fosse potenziare e incrementare la sua applicazione
piuttosto che cambiare piano. Invece il terapeuta sottolinea che il sintomo, concepito come
applicazione del vecchio piano non funziona. L’intervento suggerito è:
«Che cosa e perché non funziona più? E in che modo le è stato utile là e allora? E come
adesso potrebbe essere non più utile, o meno utile?».
Questa distinzione tra utilità passata e inutilità presente va rimarcata incoraggiando il
paziente a distinguere un là e allora e un qui e ora, concetto peraltro ampiamente studiato
nell’ambito del perspective taking e in particolare nei nuovi sviluppi delle teorie conte-
stualiste funzionali (Törneke, 2010).
Il piano non solo è diventato meno utile o inutile. Esso è diventato addirittura dannoso.
Il suo costo è elevato in rapporto ai frutti. Insomma non ne vale più la pena. Il paziente va
incoraggiato a prenderne coscienza.
«E come, oltre a essere inutile, potrebbe essere diventato addirittura dannoso? Quanto
ti è costato tutto questo negli anni?».
Incoraggiamento diretto a ristrutturare
Dopo aver messo in discussione il piano, il terapeuta incoraggia lo sviluppo di nuove
strategie e l’elaborazione di nuove strade anche attraverso l’esposizione comportamentale,
cognitiva ed emotiva. Le domande suggerite sono:
«Come può vederla diversamente? Cosa può fare di diverso? Perché ha fatto solo
quello? Può provare a fare altre cose?».
E/o in maniera più direttiva, se necessario:
«Cosa teme? Cosa potrebbe accadere di brutto se in quell’episodio lei non usa il suo
solito modo di reagire?».
Ci aspettiamo che, dopo un lungo e meticoloso lavoro sui piani, il paziente si senta più
libero di esperire nuove emozioni e sia meno affezionato alle modalità rigide che aveva di
rapportarsi alla realtà e agli altri. Ci aspettiamo che abbia sperimentato nuovi comporta-
menti, nuove relazioni, nuove emozioni, nuove esperienze. Questo lavoro terapeutico da
un lato libera il paziente da molte rigidità e dall’altro comincia a mettere in discussione
S. Sassaroli et al. – Procedure e protocollo di terapia LIBET – prima parte: le procedure ABC-LIBET, laddering e disputing
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l’apparente funzionalità dei piani. La rinunzia ai piani potrebbe far apparire emozioni quali
ansia, depressione e rabbia che sono il risultato dell’esperienza di contatto con i temi. È
molto importante che il terapeuta attraversi questa fase insieme al paziente in modo con-
sapevole e solidale, ricordandosi che in questa situazione il paziente è più libero ma più
vulnerabile ai temi dolorosi.
«Uso della storia di vita: disputa evolutiva dell’intollerabilità del tema».
Nella fase successiva si disputa l’intollerabilità del tema. La domanda introduttiva di
questo nuovo intervento è:
«E ora che ha imparato a non fare più le solite cose, cosa succede che non le piace?».
In questo modo si elicita la dolorosità del tema, ora in primo piano essendo venuta
meno la funzione protettiva del piano. Il cliente può reagire esponendo con ricchezza di
particolari la sua storia di vita legata al tema e va incoraggiato in questa direzione:
«Mi parli di come, dove e perché ha imparato a sentirsi così? Me lo racconta?».
La domanda può essere fatta in maniera aperta e generica:
«Mi parli dei suoi genitori e dell’ambiente in cui è cresciuto, delle sue relazioni fa-
miliari».
O in maniera più chiusa e diretta:
«Mi racconterebbe quali erano questi stati dolorosi da bambina? Gli stati emotivi dove
preferirebbe non stare mai?».
Al fine di ottenere un vero racconto, una risposta narrativa e non una semplice affer-
mazione, si può anche chiedere:
«Me lo racconti come se dovesse descrivere la trama di un libro, quello che potrebbe
essere l’unico libro che vorrebbe scrivere».
A questo punto il tema emerge in tutta la sua dolorosità, che va validata:
«Capisco che tutto questo deve essere stato davvero doloroso».
Man mano che il tema è raccontato ed è riconosciuta empaticamente la sua dolorosità, si
può anche incoraggiare il cliente a riconoscere che la situazione è cambiata, che il dolore fa
parte del passato e che non conviene considerare quell’esperienza, seppure dolorosa, come
un giustificabile motivo di rimuginio cronico e risentito. Insomma si tratta di un’esperienza
amara e desolante ma non intollerabile e che può essere dolorosamente accolta, tramite
una presa d’atto e un contatto con tale dolore. All’interno di tale processo, il paziente può
imparare a guardare direttamente quella storia dolente e coltivare un senso di accettazione
e di «liberazione» da essa (Hayes, 2004).
«È doloroso ma lei non è più quel bambino».
A questo punto si mettono in discussione tutte le credenze auto-denigrative legate al
tema.
«Non ci sono ragioni per credere di essere ancora in quella maniera e per sentirsi
ancora in quel posto».
Uso dell’ABC secondario per disputare il contenuto del tema
Il tema può essere affrontato anche non passando per il racconto della relazione dei ge-
nitori, per varie ragioni: la scarsa propensione del paziente, la possibile ridotta drammaticità
Psicoterapia Cognitiva e ComportamentaleVol. 23 - n. 1 2017
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della relazione con i genitori, il fatto che questo lavoro sia stato già svolto in precedenti
terapie. Un modo tipico di disputare il contenuto del tema, ovvero le self-belief negative
e autodenigratorie con la quale il paziente si è descritto a partire dalle sue esperienze
problematiche e dolorose è l’uso del cosiddetto ABC secondario, un accorgimento molto
diffuso tra i terapisti cognitivi di scuola italiana.
L’ABC secondario era stato individuato in ambiente REBT da Ellis (1974) e poi da
Dryden (2011) ma è stato particolarmente valorizzato dai terapisti cognitivisti di scuola
italiana, a partire da Cesare De Silvestri (2000), colui che diffuse la REBT in Italia
(Ruggiero, Ammendola, Caselli e Sassaroli, 2013). L’ABC secondario è un ABC in cui
l’A è l’emozione negativa prevalente dell’ABC di partenza, quella legata alla situazione
problematica: quindi ansia, tristezza depressiva o rabbia borderline. Insomma, è un C
che diventa un A. Si tratta quindi di una valutazione di secondo livello che a sua volta
è valutata usando credenze e pensieri, ovvero nuovi B. Secondo De Silvestri (2000) e
poi Lorenzini e Sassaroli (1987) producendo questi B il paziente genera una freccia
discendente che sfocia in una catastrofizzazione auto-denigratoria che è definitivamente
patologizzante.
In breve si tratta di un circolo vizioso in cui una persona ansiosa arriva a considerarsi
debole e fragile perché prova emozioni di ansia, un depresso si considera un fallito perché
prova un’acuta tristezza, un ansioso sociale si ritiene timido perché prova vergogna e un
ossessivo si giudica colpevole perché prova emozioni di colpa. Questo modello fu poi
descritto da Lorenzini e Sassaroli (1987) che lo chiamarono «auto-invalidazione ricorsiva».
L’intervento terapeutico è semplice. Si tratta di costruire l’ABC secondario insieme al
paziente in modo da rendergli visibile che l’auto-denigrazione — ad esempio «sono una
persona fragile» — lungi dall’essere la constatazione oggettiva di un supposto stato di fatto,
è generata dal paziente stesso attraverso il ragionamento a circolo vizioso. Fatto questo si
invita il paziente a riflettere su quanto sia utile ragionare così. Insomma l’intervento unisce
l’analisi di un errore logico — usare un’emozione per valutare se stessi — a una disputa
pragmatica: e che le serve ragionare così?
Facciamo un esempio:
P.: «Sono in autostrada e mi viene in mente che una mia amica si è ammalata e penso
alla fragilità della vita».
T.: «Cosa prova in quel momento?».
P.: «Una fitta d’ansia».
Qui abbiamo l’ABC primario: situazione, pensiero ed emozione. Il terapista prosegue
costruendo l’ABC secondario, preferibilmente su carta o meglio ancora su lavagna in modo
da rendere visibile al paziente il circolo vizioso:
T.: «Rappresentiamo tutto questo graficamente. Qui lei è in auto (A), qui le viene in
mente la fragilità della vita (B), qui c’è l’ansia (C). Ora mettiamo facciamo un nuovo ABC
mettendo l’ansia nell’A. Lei prova ansia in auto: cosa prova e cosa pensa di quest’ansia?».
P.: «Che potrei stare male».
T.: «E quindi? Cosa pensa del fatto che mentre è in auto le viene una fitta d’ansia e
potrebbe stare male?».
P.: «Che è strano, non è normale stare male solo per questo».
S. Sassaroli et al. – Procedure e protocollo di terapia LIBET – prima parte: le procedure ABC-LIBET, laddering e disputing
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T.: «E quindi?».
P.: «E quindi sono strano».
T.: «Strano come? In che senso?».
P.: «Strano, diverso. Mi viene l’ansia mentre guido, senza un perché. O perché penso
alla mia amica. Sono davvero molto impressionabile. Forse troppo impressionabile».
T.: «Troppo impressionabile? Diciamolo in una sola parola. Com’è una persona troppo
impressionabile?».
P.: «Fragile. Una persona così è fragile. Sono fragile».
T.: «E se pensa di essere fragile, come si sente?».
P.: «Mi viene ancora più ansia. E mi sento anche un po’ triste».
T.: «Scriviamo tutto. Come vede, lei si pensa strano e poi fragile dopo che ha la prima
fitta d’ansia, e più aumenta questo pensiero di fragilità, più aumenta l’ansia e infine si
intristisce in un circolo vizioso».
A questo punto si invita il paziente a riflettere su quanto sia dannoso:
T.: «Secondo lei, ragionare così l’aiuta? La fa vivere bene?».
Infine si invita il paziente a vederla diversamente e a costruire delle alternative.
T.: «Adesso è importante capire due cose. La prima è che l’ansia è solo un’emozione
e non è morire. E la seconda è che lei, al posto di quel pensiero che abbiamo chiamato
secondario, può averne un altro».
Disputa pragmatica del rimuginio sul tema e invito a ristrutturare
Infine, si può introdurre anche la disputa pragmatica del rimuginare sul tema:
«A che le serve pensarci?».
Naturalmente il trattamento specifico del rimuginio è un ABC della LIBET e si con-
clude con un invito a ristrutturare:
«Può vederla diversamente. Cosa vuole fare d’ora in poi? Che persona vuole diventare?
Che idee ha sul suo futuro?».
DISCUSSIONE: CONFRONTO TRA L’INTERVENTO LIBET E QUELLO DI ALTRI
ORIENTAMENTI
L’ABC — da questo momento ABC-LIBET, per distinguerlo da quello decritto da
Ellis (1962) — della LIBET è un framework di terapia cognitiva che mantiene molti
punti in comune con quello di altri orientamenti di tipo cognitivo. La Tabella 1 presenta
un confronto comparato tra l’ABC della LIBET e l’analisi cognitiva in stile cognitive
Behavioral Therapy (CBT) (Beck, 1979; Beck, 2011), l’ABC della Rational Emotive
Behavior Therapy (REBT) (Ellis, 1962; Ellis e Grieger, 1977; Digiuseppe, Doyle, Dryden
e Backx, 2015) e l’AMC (laddove la M sta per meta-belief) della Metacognitive Therapy
(MCT) (Wells, 2008).
La CBT — che non usa la dicitura ABC per indicare la sua procedura di base — esplo-
ra, con la tecnica della downward arrow, le previsioni negative per arrivare a delle credenze
centrali sul sé (self-belief) per poi metterle in discussione (questioning, challenging) in
Psicoterapia Cognitiva e ComportamentaleVol. 23 - n. 1 2017
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termini soprattutto empirici: what’s the evidence? Che prove ci sono a favore delle sue
convinzioni?
Nel paradigma CBT il disturbo emotivo dipende da schemi distorti di valutazione
della realtà. La distorsione fa si che il paziente soffra di emozioni negative incongrue
che lo inducono a sopravvalutare il rischio e a sottovalutare la sua capacità di gestirlo. A
sua volta, la distorsione dell’esame di realtà è un’assunzione cognitiva che dipende dalle
credenze centrali incentrate sul sé, ovvero le già citate self-beliefs. La CBT è diventata
quindi soprattutto una psicologia del sé (Hayes, 2004; Mathews e Wells, 1999, p. 180;
Rosenfarb e Hayes, 1984; Wells, 2008).
L’ABC della REBT — storicamente il primo vero e proprio ABC anche cognitivo e
non solo comportamentale — si focalizza su pensieri idiosincratici valutativi in cui la
negatività è una valutazione soggettiva e non dipende dalle previsioni oggettivamente ca-
tastrofiche di stile CBT, ma da una personale filosofia di vita doverizzante e terribilizzante.
Questa differente impostazione influenza anche la terapia, che non consiste — come nel
questioning di stile CBT — nel testare il grado di credibilità empirica delle distorsioni
cognitive, ma nella discussione (disputing) della funzionalità e utilità del suo punto di
vista. Il paziente è invitato a modificare quasi volontaristicamente il suo modo di vedere
le cose e a cambiare filosofia di vita, semplicemente partendo dal presupposto che nulla
lo tiene legato al suo vecchio modo di pensare se non l’abitudine e l’adesione dogmatica.
In breve, la CBT incoraggia ad aderire a un modo di ragionare basato sulle prove di fatto
mentre la REBT invita a cambiare filosofia di vita (Ellis e Grieger, 1977; Digiuseppe,
Doyle, Dryden e Backx, 2015).
La LIBET collega le distorsioni cognitive di tipo CBT alla storia evolutiva del soggetto,
al processo di apprendimento nelle relazioni significative delle distorsioni che poi si cristal-
lizzano in credenze automatiche negative di sé (self-belief) (Wells, 2008) — denominati
«temi di vita» — influenzate da esperienze percepite come intollerabilmente dolorose
durante lo sviluppo personale (Panksepp, 1998) e inoltre suggerisce che queste distorsioni
siano mantenute da una gestione rigida dei «temi di vita» effettuata usando comportamenti
di sicurezza (safety behaviours; Salkovskis, 1991) denominati «piani». Questi piani pos-
sono possedere una loro parziale funzionalità che però può essere smentita dalla realtà. A
questo punto, mentre sarebbe consigliabile reagire aumentando la flessibilità cognitiva,
nel caso della patologia la persona ritiene di poter superare l’invalidazione accentuando
l’applicazione del suo unico piano, ritenendo erroneamente che il problema sia l’incom-
pleta e imperfetta attuazione dei propri soliti modi di gestire i problemi.
È però plausibile che, se i temi sono legati a componenti traumatiche, sarà difficile
individuare la self belief in quanto sarà presente una disregolazione degli stati emozionali
e di arousal (attivazione corporea) che rappresenta uno dei segnali di una traumatizzazione
(Tagliavini, 2011). L’ABC LIBET sarà quindi in questo caso solo una griglia su cui muo-
versi e da riprendere solo successivamente a un lavoro di stabilizzazione e integrazione del-
le memorie traumatiche legate a esperienze emotive di pericolo estremo e insostenibile di
fronte alla quale l’individuo è impotente (Farina, 2011; Herman, 1992; van der Kolk,1996).
In conclusione, il modello LIBET riflette una concezione più costruttivista ed evolutiva
della patologia cognitiva (Kelly, 1955; Mahoney, 1974; Guidano e Liotti, 1983; Lorenzini e
S. Sassaroli et al. – Procedure e protocollo di terapia LIBET – prima parte: le procedure ABC-LIBET, laddering e disputing
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Tabella 1 – Tavola comparata degli interventi CBT (Beck, 2011), REBT (Digiuseppe, Doyle,
Dryden e Backx, 2015) e LIBET (Sassaroli, Caselli e Ruggiero, 2016)
Episodio attivante: Mi racconta un episodio significativo in cui si è presentato
il suo problema (A)? Cosa ha provato (C) e le è passato in mente in quel momento (B)?
CBT (Cognitive Behavioural
Therapy)
REBT (Rational Emotive Be-
havior Therapy)
LIBET (Life themes and
plans Implications of biased
Beliefs: Elicitation and Tre-
atment)
Downward Arrow Technique
Cosa c’è (cosa potrebbe acca-
dere) di brutto in questo? Qual
è la cosa peggiore che potreb-
be accadere (worst scenario)?
(Beck, 2011, p. 207) Interme-
diate negative beliefs
Che significa questo per lei?
Core Self belief
O per come lei vede il mondo?
Core world belief
O gli altri? Core other belief
Categorizzazione delle Self be-
lief (Beck, 2011, p. 233):
Potremmo riformulare quello
che lei pensa di se stesso/a
come:
Helpless
Inadeguato/incompetente/im-
perfetto
Vulnerabile/debole/impoten-
te/intrappolato
Fallito/perdente
Non amato
Non amato, respinto, abbando-
nato, rifiutato
Chain inference
Qual è il problema in questo?
Cosa c’è di male in questo?
È solo sbagliato/dannoso/ne-
gativo o è terribile? È awfuli-
zing belief (terribilizzazioni)
Vorrebbe/potrebbe fare questo
o deve fare questo? Vorrebbe/
che le cose siano così o le cose
devono essere così? È musts,
demands (doverizzazioni, pre-
tese)
È solo sbagliato/dannoso/ne-
gativo o è intollerabile? È Fru-
stration intolerance (FI) belief
Che significa questo per lei,
per come lei si vede? O per
come vede gli altri? È self-
downing e/o other-downing
beliefs (auto-denigrazioni e/o
denigrazione degli altri)
Laddering
Cosa c’è che non le piace in
questo? elicitare situazione
emblematica dolorosa approssi-
mata a uno dei 4 temi
Dove ha imparato a sentirsi
così? Mi racconta qualcosa del
suo rapporto con le figure si-
gnificative durante la sua cre-
scita? Come era il suo rapporto
con loro?
Come si sentiva considerato
dalle sue figure significative in
quella situazione? Self beliefs
negativa inserita in un tema
costruito su misura del pazien-
te singolo o approssimata a un
tema predefinito
In quella situazione cosa ha
provato e cosa ha fatto? Dove
ha imparato a fare così? Dove
ha imparato a ritenere che
fosse giusto/conveniente fare
così e/o che questo la aiutas-
se? elicitare condotta disfun-
zionale inserito in un piano
Sassaroli, 1987, 1995), al tempo consente di mantenere il concetto di distorsione cognitiva
nel qui e ora (Beck, 1979; Clark, Beck e Alford, 1999; Ellis e Grieger, 1977; Meichenbaum,
1977) e di includere nella concettualizzazione e negli interventi un interesse evidente per i
processi cognitivi e soprattutto tenta, entro limiti del possibile, di inquadrare lo stile evolutivo
e costruttivista di gestire la seduta e la terapia entro procedure più controllate e replicabili.
Psicoterapia Cognitiva e ComportamentaleVol. 23 - n. 1 2017
88
Non attraente, non piacevole,
non simpatico
Senza valore
Indegno, inaccettabile, disgu-
stoso
Immorale, responsabile
costruito su misura del pazien-
te singolo o approssimata a un
tema predefinito
Accertamento dell’episodio di
invalidazione: Cosa è successo
prima di stare male? Quan-
do questo comportamento ha
smesso di esserle utile? Come
mai non funziona più?
Accertamento del rimuginio:
Per quanto tempo ci rimugina
su questo?
Questioning/challenging
Che prove ci sono a favore di
questa idea?
Che probabilità ci sono che ac-
cada questo?
Come fa a dire che è così irri-
mediabile?
Come fa a dire che è così in-
tollerabile?
Disputing
B-C connection: Lei è d’accor-
do che il suo problema dipende
da quello che pensa?
Empirico: Che prove ci sono?
Logico: Dove sta scritto?
Pragmatico: A che le serve
pensarci tanto? Come ti fa sta-
re questo?
Disputa LIBET
Disputa pragmatica del sinto-
mo come piano: A che le serve
fare così?
Uso della storia di vita: dispu-
ta evolutiva dell’intollerabilità
del tema: È doloroso ma lei non
è più quel bambino.
Esposizione emotiva e compor-
tamentale alla dolorosità dei
temi
Uso dell’ABC secondario per di-
sputare il contenuto del tema:
Come vede, lei si giudica nega-
tivamente dopo che ha provato
questa emozione.
Disputa pragmatica del rimugi-
nio sul tema
Reframing
Come potrebbero andare diver-
samente le cose?
Come potrebbe giudicare diver-
samente se stesso, il mondo o
gli altri?
Reframing
Possiamo dire che questa cosa è
brutta ma non terribile?
Che preferirebbe che le cose si-
ano diverse ma che non devono
essere diverse?
Che questo è doloroso ma non
intollerabile?
Unconditional Self Acceptance
(USA): sei così come sei e puoi
accettarti incondizionatamente
Ristrutturazione LIBET:
Incoraggiamento diretto a ri-
strutturare: Come puoi vederla
diversamente?
Elaborazione e adozione di
nuovi piani più flessibili e
funzionali. Come può vederla
diversamente? Cosa può fare di
diverso? Cosa vuole fare d’ora
in poi? Che persona vuole di-
ventare? Che idee ha sul tuo
futuro?
S. Sassaroli et al. – Procedure e protocollo di terapia LIBET – prima parte: le procedure ABC-LIBET, laddering e disputing
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Psicoterapia Cognitiva e ComportamentaleVol. 23 - n. 1 2017
92
Presentato il 21 giugno 2016, accettato per la pubblicazione a ottobre 2016
Corrispondenza
Sandra Sassaroli
«Studi Cognitivi», Scuola di specializzazione in psicoterapia cognitiva
Foro Buonaparte, 57
20121 Milano
e-mail: sandrasassaroli@gmail.com
... (4) Validation of the final version. In the last phase, which is still in progress, preliminary versions of the LIBET interview, manual and adherence scale were published in their final form in both Italian and English (Sassaroli et al., 2016;Sassaroli et al., 2017a, b;2021). ...
... LIBET life themes and semi-adaptive plans were assessed using the LIBET interview procedures as published in Italian and English journals and books (Sassaroli et al., 2016;Sassaroli et al., 2017a, b;2021), which report in more detail the information described in the following section of this paper entitled "LIBET assessment training and adherence." Here we provide some general information about this procedure. ...
Article
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Cognitive behavioral therapy (CBT) approaches use case formulation procedures based on the diathesis–stress conceptualization model, arranged in two dimensions: emotional vulnerability (present in a patient’s consciousness in terms of core beliefs) and coping strategies. Nevertheless, despite its pivotal role, there are a limited number of validation studies for this model. Life themes and semi-adaptive plans: Implications of biased beliefs, elicitation and treatment (LIBET) is a CBT case formulation method grounded on the CBT diathesis–stress model that aims to help validate the CBT case formulation model, and, in particular, its bidimensional arrangement. In LIBET, the two classic CBT dimensions are called “life themes,” which are mental states of focused attention to emotional sensitivities represented as core beliefs in consciousness, and “semi-adaptive plans,” which are the rigid management strategies of “life themes” implemented by adopting coping strategies such as anxious safety behaviors, compulsive controls and aggressive or rewarding strategies. The study uses quantitative textual analysis to validate the LIBET procedure in a clinical sample. The investigation discusses the extent to which the results can be considered a validation of the arrangement of the general CBT diathesis–stress model in the two dimensions of core beliefs and coping strategies.
... (4) Validation of the final version. In the last phase, which is still in progress, preliminary versions of the LIBET interview, manual and adherence scale were published in their final form in both Italian and English (Sassaroli et al., 2016;Sassaroli et al., 2017a, b;2021). ...
... LIBET life themes and semi-adaptive plans were assessed using the LIBET interview procedures as published in Italian and English journals and books (Sassaroli et al., 2016;Sassaroli et al., 2017a, b;2021), which report in more detail the information described in the following section of this paper entitled "LIBET assessment training and adherence." Here we provide some general information about this procedure. ...
Chapter
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Cognitive behavioral therapy (CBT) case formulation is largely based on the diathesis stress model of emotional disorders. However, measures of validity and reliability, both of CBT case formulation and the diathesis-stress scientific foundation of CBT approaches, are only beginning to be studied. In addition, they have developed without much explicit reference to each other. Validation of the case formulation models remains only partially developed in a still insufficient number of publications, although there is some emerging evidence. Life themes and semi-adaptive plans: Implications of biased Beliefs, Elicitation and Treatment (LIBET) is a method aimed to explicitly share a CBT case formulation grounded in the diathesis stress model. In particular, it is a procedure that allows the therapist to understand and share with the patient an explanation of his or her emotional disorder—a rationale for implementation of the therapeutic procedures selected and a measure for monitoring the progression of the psychotherapy. LIBET aims to be a step forward in the validating process of the CBT case formulation model—and, in particular, of its bidimensional arrangement in two axes: emotional vulnerability (expressed in terms of core beliefs in CBT models) and coping strategies.
... Strategies such as avoiding stressful situations hinder the acquisition of information that could challenge the very strategy of avoidance. In the short term, this prevents thoughts and bodily sensations from gradually dissolving, and in the long term, it reinforces the association between contextual stimuli and the onset of intrusive thoughts or emotions, undermining their gradual habituation or consolidation (Moulds et al., 2007;Ottenbreit & Dobson, 2004;Sassaroli et al., 2016;Wells, 2000). ...
... Items which loaded on this factor were specifically referred to as LTs; those considered as interfering and dangerous can cause distress, which people attempt to manage with plans. Usually, LPs are effective in the short term, or in absence of high-risk situations, like exposure to events that trigger LT-related beliefs or feelings (Sassaroli et al., 2016). When long-term disadvantages of plans are perceived, or plans come out as inadequate because of environmental changes that affect its closeness to a LT, the D/U scale increased towards the "dangerous" side of the factor (Ruggiero & Sassaroli, 2012). ...
Article
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Case conceptualization is a widely used tool to describe and organize patient infor- mation and plan interventions in psychotherapy. Life themes and semi-adaptive plans: Implications of biased beliefs, elicitation, and treatment (LIBET) is a new method for case conceptualization that validates the diathesis-stress model and incorporates elements from the most important theories in the CBT field. LIBET also includes process-based components as maintaining factors of psychological distress, and it is not anchored to a specific kind of psychotherapeutic approach. The LIBET-Questionnaire (LIBET-Q) is a structured interview which helps clini- cians achieve a LIBET case conceptualization, co-constructed with patients. The aim of the present study was to validate the process-based section of the LIBET- Q by analyzing its factorial structure, internal consistency, convergent validity, and clinical relevance. A sample of 396 outpatients was recruited to validate the LIBET-Q, which was administered along with interviews and self-report question- naires to investigate the presence of diagnoses, anxiety, and depression levels and global functioning and wellbeing. Results from both exploratory and confirmatory factor analyses showed a four-factor structure, with adequate consistency and good convergent validity. Process-based elements investigated with the LIBET-Q resulted in identifying different clinical populations. With satisfactory psychometric prop- erties, the LIBET-Q turned out to be a suitable support for case conceptualization and treatment formulation. The independence of the LIBET method from a specific intervention can improve its sharing between clinicians by offering a common frame in which the rationale of every specific technique can be explained.
Article
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This article describes the procedures of Life themes and plans, Implications of biased Beliefs: Elicitation and Treatment (LIBET) therapy. LIBET integrates procedures of rational disputation, constructivist reframing and developmental interventions. The assessment procedures are primarily Kellian laddering and assessment of personal life history. Laddering aims to assess self-beliefs and emotional states – called life theme- prominently underlying clients’ emotional disorder, while personal life history aims to assess the relational situations in which the life theme was learned. The assessment also examines the construction of early dysfunctional plans aimed at managing the life theme, which then result in symptoms. Therapeutic change interventions integrate rational disputation and constructivist reframing.
Article
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Il termine mindfulness indica un’attenzione consapevole, intenzionale e non giudicante, rivolta al momento presente. Negli ultimi anni numerosi interventi psicoterapeutici ed educativi, in età infantile e adolescenziale, hanno proposto programmi basati sul nuovo costrutto, per promuovere un miglior benessere e la prevenzione della psicopatologia in giovane età. Nonostante le numerose applicazioni nel panorama nazionale, la mindfulness stenta a diventare un costrutto scientifico, a causa dell’assenza di strumenti validati, che ne garantiscano una misura obiettiva. Pertanto l’obiettivo del lavoro è lo studio delle caratteristiche psicometriche di un nuovo questionario delle abilità di consapevolezza: la Child and Adolescent Mindfulness Measure (CAMM), su un campione di 917 soggetti, diviso in 345 bambini e 572 adolescenti reclutati dalla popolazione generale. Le Analisi Fattoriali Esplorative evidenziano una struttura unidimensionale della scala a 8 item, con una buona coerenza interna. Il lavoro giustifica l’utilizzo del test in ambito nazionale per l’età infantile e adolescenziale.
Book
This online third edition of A Practitioner's Guide to Rational-Emotive Behavior Therapy reviews the philosophy, theory, and clinical practice of Rational Emotive Behavior Therapy (REBT). This model is based on the work of Albert Ellis, who had an enormous influence on the field of psychotherapy over his 50 years of practice and scholarly writing. Designed for both therapists-in-training and seasoned professionals, this practical treatment guide introduces the basic principles of rational-emotive behavior therapy, explains general therapeutic strategies, and offers many illustrative dialogues between therapist and patient. It breaks down each stage of therapy to present the exact procedures and skills therapists need, and numerous case studies illustrate how to use these skills. It describes both technical and specific strategic interventions, and stresses taking an integrative approach. The importance of building a therapeutic alliance and the use of cognitive, emotive, evocative, imaginal, and behavioral interventions serves as the unifying theme of the approach. Intervention models are presented for the treatment of anxiety, depression, trauma, anger, personality disorders, and addictions.
Article
Rational Emotive Behaviour Therapy (REBT) encourages the client to focus on their emotional problems in order to understand, challenge and change the irrational beliefs that underpin these problems. REBT can help clients to strengthen conviction in their alternative rational beliefs by acting in ways that are consistent with them and thus encourage a healthier outlook. This accessible and direct guide introduces the reader to REBT while indicating how it is different from other approaches within the broad cognitive behavioural therapy spectrum. Divided into two sections; The Distinctive Theoretical Features of REBT and The Distinctive Practical Features of REBT, this book presents concise, straightforward information in 30 key points derived from the author's own experience in the field. Rational Emotive Behaviour Therapy: Distinctive Features will be invaluable to both experienced clinicians, and those new to the field. It will appeal to psychotherapists and counsellors, together with students and practitioners who are keen to learn how REBT can be differentiated from the other approaches to CBT.
Book
Some investigators have argued that emotions, especially animal emotions, are illusory concepts outside the realm of scientific inquiry. With advances in neurobiology and neuroscience, however, researchers are proving this position wrong while moving closer to understanding the biology and psychology of emotion. In Affective Neuroscience, Jaak Panksepp argues that emotional systems in humans, as well as other animals, are necessarily combinations of innate and learned tendencies; there are no routine and credible ways to really separate the influences of nature and nurture in the control of behavior. The book shows how to move toward a new understanding by taking a psychobiological approach to the subject, examining how the neurobiology and neurochemistry of the mammalian brain shape the psychological experience of emotion. It includes chapters on sleep and arousal, pleasure and pain systems, the sources of rage and anger, and the neural control of sexuality. The book will appeal to researchers and professors in the field of emotion.