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Meccanismi fisiologici e strumentali di protezione del rachide durante la pratica del Fitness.

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Abstract: La protezione del rachide durante l’esecuzione di esercizi con sovraccarichi nella pratica del Fitness, al di là di ovvie e banali raccomandazioni, sull’entità del carico e sul mantenimento delle curve fisiologiche, spesso non viene adeguatamente sottolineata. Ancor meno vengono evidenziate le implicazioni della respirazione e del meccanismo della cosìdetta IAP (Intra Abdominal Pressure) sulla protezione del rachide sotto carico e durante esercizio. In questa review vengono analizzati gli studi, compresi quelli basilari e pioneristici di Nachemson, sui meccanismi fisiologici di protezione del rachide da sollecitazioni compressive durante l’esecuzione di esercizi; viene inoltre analizzata l’azione della cintura da sollevamento, “device” spesso usato in maniera non adeguata quando non abusato nei centri Fitness.
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RIVISTA DELLA ISSN: 1974-4331
FACOLTÀ DI SCIENZE MOTORIE VOL III, FASC. 4, SEZ. 2, 2010
DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PALERMO
MECCANISMI FISIOLOGICI E STRUMENTALI DI PROTEZIONE
DEL RACHIDE DURANTE LA PRATICA DEL FITNESS
Paoli Antonio 1,2, Marcolin Giuseppe1, Pacelli Q. Francesco 1,2, Grainer
Alessandro1, Battaglia Giuseppe4, Bianco Antonino 3-5.
1 Dipartimeno di Anatomia e Fisiologia Umana – Sez di Fisiologia,
Università di Padova
2 Corso di Laurea in scienze Motorie, Università di Padova
3 Dipartimento DISMOT, Università di Palermo
4 Facoltà di Scienze Motorie, Università di Palermo
5 Scuola Regionale dello Sport, CONI Sicilia
SOMMARIO 1. Infortuni e dolore provocati dal sollevamento di carichi. - 2.
La pressione intra-addominale. - 3. Ruolo della respirazione. - 4. Effetto
della cintura durante attività di potenziamento muscolare con sovraccarichi. -
5. Frequenza di uso della cintura. – 6. Conclusioni
Abstract: La protezione del rachide durante l’esecuzione di esercizi con
sovraccarichi nella pratica del Fitness, al di là di ovvie e banali raccomandazioni,
sull’entità del carico e sul mantenimento delle curve fisiologiche, spesso non
viene adeguatamente sottolineata. Ancor meno vengono evidenziate le
implicazioni della respirazione e del meccanismo della cosìdetta IAP (Intra
Abdominal Pressure) sulla protezione del rachide sotto carico e durante esercizio.
In questa review vengono analizzati gli studi, compresi quelli basilari e
pioneristici di Nachemson, sui meccanismi fisiologici di protezione del rachide da
sollecitazioni compressive durante l’esecuzione di esercizi; viene inoltre
analizzata l’azione della cintura da sollevamento, “device” spesso usato in
maniera non adeguata quando non abusato nei centri Fitness.
1. Infortuni e dolore provocati dal sollevamento di carichi
Gli infortuni della zona lombare non sono rari durante le performance di
sollevamento pesi (Aggrawal et al 1979, Alexander 1985, Brady et al 1982),
sebbene, considerata l'entità delle forze coinvolte, ci si potrebbe attendere
un'incidenza più alta. Per esempio, Kulund (1978) riporta un'incidenza di dolore
lombare solamente del 10% in uno studio su 80 sollevatori di pesi. La forza delle
strutture coinvolte nella stabilità della cerniera lombosacrale è stata classificata
come debole, forte e moderata rispettivamente sullo scheletro, sui legamenti e sui
muscoli (Klafs e Arnheim 1973). Le forze compressive agenti sulla colonna
vertebrale superano i 10.000 Newton (N) durante attività di sollevamento molto
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intense fino a valori di 12.981 N in un gruppo di soggetti maschi di 46 anni in
buona forma fisica, mentre studi su cadaveri di donne anziane evidenziano danni
alle vertebre già con forze di 3.698 N (Hutton 1982).
Nonostante gli infortuni durante il sollevamento di pesi non siano numerosi,
le notevoli forze in gioco spesso possono superare i livelli consigliati per un
allenamento in condizioni di sicurezza.
Sono stati condotti molti studi in ambito biomeccanico su varie attività che
comportano il sollevamento di carichi pesanti. Analogamente, parecchi studi
hanno investigato sul ruolo di un supporto addominale e dorsale come
meccanismo per approntare misure correttive e per fornire sollievo dal dolore
lombare (Ahlgren e Hansen 1978, Grew e Deane 1982, Levine 1984).
2. La pressione intra-addominale
Per molti anni è stato affermato che la pressione intra-addominale (IAP)
giochi un importante ruolo di supporto della colonna lombare, specialmente
durante spossanti attività di sollevamento. Sollevatori di pesi e, più recentemente,
persone che svolgono lavori manuali faticosi nel campo industriale o nel mondo
dell'agricoltura, hanno riferito alcuni benefici ottenuti in seguito al fatto di
indossare una cintura addominale.
La più comune spiegazione proposta sull'uso della cintura durante il
sollevamento di carichi è che dovrebbe fornire assistenza nel generare la pressione
intra-addominale (IAP) senza incrementare l'attività dei muscoli addominali
(Morris et al 1961). L'ipotesi che la IAP alleggerisca il carico compressivo sulle
vertebre lombari distribuendo le forze sul pavimento pelvico e sul diaframma fu
proposta originariamente da Keith nel 1923 e successivamente discussa da
Bartelink (1957). Morris et al.(1961) svilupparono l'idea e presentarono un'ipotesi
con un modello meccanico per dimostrare che la IAP potesse alleggerire la
compressione direttamente, nella maniera descritta dai loro predecessori, e
indirettamente, generando un momento di estensione sulla colonna lombare
agendo contro il diaframma. Ci si attendeva che questo meccanismo avrebbe in
qualche modo sollevato la muscolatura estensoria dalla sua responsabilità di
generare l'intero momento della forza per sostenere il carico e avrebbe, dunque,
ridotto la compressione discale. Diversi autori notarono, però, che l'attivazione
della muscolatura addominale richiesta per produrre la IAP produce anche un
momento di flessione del tronco il quale deve essere controbilanciato da
un'aumentata attività dei muscoli estensori, in aggiunta ad un carico compressivo
direttamente gravante sul disco prodotto da un'apprezzabile componente della
muscolatura addominale (per inciso, Morris et al. non tentarono mai di calcolare il
carico compressivo imposto dall'attivazione dei muscoli addominali per produrre
la IAP).
Modelli più recenti presentati da McGill e Norman (1987) hanno suggerito
che le forze dei muscoli addominali, necessarie per generare la IAP, creino in
realtà più carico di compressione sulle vertebre lombari di quanto la IAP lo
PAOLI A., MARCOLIN G., PACELLI Q. F., GRAINER A., BATTAGLIA G., BIANCO A.
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alleggerisca. Questa scoperta è in armonia con le evidenze sperimentali
precedentemente presentate da Krag et al. (1984) usando l'elettromiografia (EMG)
e da Nachemson et al. (1986) usando le misurazioni della pressione intra-discale.
Queste scoperte indicavano che incrementi della IAP prodotti muscolarmente non
alleggeriscono la compressione del disco intervertebrale. D’altro canto gli studi
citati non negano la possibilità che la IAP abbia benefici effetti attraverso altri
meccanismi.
Soluzioni alternative per sollevare i dischi dal carico e ridurre lo sforzo della
muscolatura lombare sono state discusse in letteratura. Gracovetsky et al. (1981)
ipotizzarono che le forze laterali generate dall'obliquo interno e dal trasverso
dell'addome siano trasmesse alla fascia lombodorsale provocando da parte di
questa una tensione trasmessa ai processi spinosi delle vertebre. Questo
causerebbe l'estensione della schiena con un diminuito peso compressivo sui
dischi perché la fascia lombodorsale ha un braccio di leva che è il più grande tra
tutti i tessuti posteriori della colonna lombare. Per quanto affascinante questa
ipotesi, sfortunatamente non poté essere dimostrata. Tutti nel medesimo periodo,
Tesh et al. (1987), Macintosh et al. (1987) e McGill e Norman (1988), ogni
gruppo usando metodi differenti per testare l’ipotesi di Gracovetsky, dimostrarono
che essa non era sostenibile.
3. Ruolo della respirazione
Durante le attività di sollevamento, i muscoli del tronco ricoprono numerosi
ruoli meccanici. Per esempio, l'azione dei muscoli del tronco stabilizza la colonna
in maniera tale da prevenire deformazioni. Il contributo degli addominali alla
stabilità della colonna lombare durante il sollevamento è complicato dal loro ruolo
di muscoli respiratori.
De Troyer (1990) osservò che durante l'espirazione volontaria forzata
(contrazione volontaria per aumentare la pressione dell'addome) con la glottide
chiusa, tutti i partecipanti allo studio dimostravano una elevata attività
elettromiografica del trasverso, del retto dell'addome e dell'obliquo esterno.
In uno studio sul carico vertebrale, McGill et al. (1990) dimostrarono che
elevate richieste respiratorie durante il sollevamento di piccoli oggetti
incrementavano il rischio di sovraccarico della colonna lombare. Questa scoperta
mise in luce l'importanza dell'associazione tra ventilazione e attivazione
muscolare e i suoi effetti sul carico vertebrale.
Nachemson (1964) in un esperimento, ormai storico ma imprescindibile (e
spesso citato non direttamente ma attraverso meta-citazioni), chiese di realizzare
la manovra di Valsalva (espirazione forzata con glottide chiusa) ai suoi soggetti
mentre veniva registrata, mediante un ago, la pressione del disco intervertebrale su
L3 o su L4 in differenti posizioni. Si constatò un incremento di pressione
intradiscale tra il 5 % e il 35 %. Si vide inoltre che i soggetti che sperimentarono
dolore durante questa manovra mostravano gli incrementi più elevati di pressione.
I risultati di questo studio sembrano perciò supportare l’ipotesi che il dolore
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provato durante l’effettuazione della manovra di Valsalva da molti pazienti con
problemi alla schiena è probabilmente collegato all’incremento del carico
meccanico sulla colonna lombare prodotto dalla contrazione muscolare. Non è
detto, però, che questo aumento di pressione si debba considerare in un’ottica
negativa, anzi esso può avere un benefico effetto, durante le azioni di
sollevamento, tramite altri meccanismi.
Sia la muscolatura del torace che quella dell'addome sono considerate in
grado di trasmettere la forza dei pesi sollevati dalla parte superiore del tronco alla
pelvi; Bartelink (1957) definì questo con l'espressione “scheletro muscolare”.
Questo è compiuto da un'azione dei muscoli del tronco che trasforma questi due
compartimenti in un muro cilindrico quasi rigido. Poiché i compartimenti toracico
e addominale agiscono sempre assieme durante le manovre di apnea quando si
sollevano carichi, un esame dei meccanismi associati al sollevamento pesi senza
considerare le possibilità di interazione di questi compartimenti potrebbe rivelarsi
incompleto.
Sempre nello studio condotto da McGill (1990) emerge un'importante
analisi degli effetti della condizione di apnea (inspiratoria), comparata con la
condizione di espirazione. Trattenere il fiato aumenta la IAP e tende a ridurre
l'attività del muscolo sacrospinale che la cintura venga indossata o no; questo
suggerisce che vi sia un ridotto carico compressivo lombare. Osservazioni casuali
su ogni genere di sollevamento indicano che le persone, in generale, trattengono il
fiato durante lo sforzo di sollevamento di un carico.
0
50
100
150
200
NO SI
Trattenendo il respiro
Espirando
IAP (mm Hg)
CINTURA
Figura 1.1: Effetti dell’uso della cintura e della respirazione sul picco di IAP.
Indossare la cintura incrementa la IAP come pure trattenere il respiro (mod da
McGill et al, 1990).
PAOLI A., MARCOLIN G., PACELLI Q. F., GRAINER A., BATTAGLIA G., BIANCO A.
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0
50
100
150
200
NO SI
Trattenendo il respiro
Espirando
EMG SACRO SPINALE
(% MVC)
CINTURA
Figura 1.2: Effetti dell’uso della cintura e della respirazione sull’attività
elettromiografica del muscolo sacrospinale (mod da McGill et al,1990).
6000
6500
7000
7500
NO SI
Trattenendo il respiro
Espirando
COMPRESSIONE (N)
CINTURA
Figura 1.3: Effetti dell’uso della cintura e della respirazione in un modello stimante
la compressione a livello lombare (mod da McGill et al, 1990).
L'osservazione che l'attività del muscolo sacrospinale viene ridotta quando il
soggetto trattiene il fiato a prescindere dall'uso della cintura potrebbe portare a
pericolose conclusioni. Per esempio, sulla base di questa evidenza, qualcuno
potrebbe concludere affermando che il respiro deve essere sempre trattenuto
durante il sollevamento di carichi. Immancabilmente si incrementerà la IAP così
che la conseguente attenuazione elettromiografica del muscolo sacrospinale
indicherà un ridotto carico di compressione lombare. Tuttavia, è ben documentato
che elevati incrementi della pressione intratoracica provocano brusche impennate
della pressione arteriosa bloccando il ritorno venoso al cuore. Questi fenomeni
possono avere conseguenze pericolose per coloro che sono affetti da malattie
coronariche latenti; dunque trattenere il respiro troppo a lungo durante attività
dinamiche di sollevamento innalza i valori di pressione a livelli insostenibili.
E’ necessario tenere presente tutte queste considerazioni qualora ci si
appresti a svolgere una qualsiasi attività di fitness che è, oggi, sicuramente
l’attività sportiva più praticata dalla popolazione adulta (Paoli et al 2008)
Sebbene una attività con i pesi svolta con notevoli volumi di lavoro sia
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riservata ai body builders e ai sollevatori di pesi con una certa esperienza, ormai
tutte le palestre e i centri fitness propongono accanto alla classica attività aerobica
un lavoro con sovraccarichi ben consapevoli della maggiore efficacia di un lavoro
misto qualora ci si ponga finalità dimagranti e di tonificazione.
Si vengono spesso a creare situazioni in cui persone comuni entrano in
contatto con manubri, bilancieri, attrezzi e macchinari propri dell’ambiente
palestra. Nonostante i programmi di allenamento dell’utente comune delle palestre
siano caratterizzati da volumi e da intensità sicuramente ridotti rispetto a quelli di
chi è dedito a pratiche culturistiche, si rendono necessari alcuni accorgimenti per
evitare pericolose conseguenze e in particolar modo, visto l’argomento trattato,
l’insorgere di dolore lombare provocato da stress meccanico.
Sarà compito dell’istruttore fornire alla persona che si reca in palestra tutte
le indicazioni per svolgere l’allenamento in condizioni di sicurezza di modo che
l’attività fisica si traduca in un effettivo miglioramento fisico, psicologico e
sociale. A tal proposito l’istruttore di palestra deve tenere presente le
caratteristiche fisiche dell’utente, l’eventuale tempo di inattività fisica, la presenza
di patologie pregresse, la presenza di problemi articolari, le sue esigenze.
L’insorgenza del mal di schiena non è provocata esclusivamente dal
sollevamento di carichi consistenti (massimali o sub-massimali) caratteristici di
chi pratica agonismo o body-building; anzi, in queste categorie di persone i dolori
si presentano meno frequentemente se paragonati a soggetti principianti oppure
dediti sporadicamente all’attività con sovraccarichi.
Di fondamentale importanza risulta essere la postura quando si eseguono gli
esercizi poiché una postura scorretta può provocare stress meccanici responsabili,
a breve o a lungo termine, di dolore ed indebolimento.
E’ a tal proposito interessante osservare come il problema della postura
legato al sovraccarico che essa comporta alle strutture articolari sia stato indagato
già in periodi non proprio recenti.
Nachemson in un articolo del 1964 intitolato “In vivo measurements of
intradiscal pressure” osservò come la pressione nel terzo e nel quarto disco
intervertebrale è correlata con il peso corporeo del soggetto, l’area della sezione
traversa del disco e con la posizione del corpo.
PAOLI A., MARCOLIN G., PACELLI Q. F., GRAINER A., BATTAGLIA G., BIANCO A.
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Figura 1.4 Prima pagina dell’articolo di Nachemeson In vivo measurements of
intradiscal pressure pubblicato su Spine nel 1964.
Lo studio stabilì una relazione approssimativa tra le pressioni del disco nella
posizione seduta, in piedi e distesa e dimostrò che le pressioni intradiscali dei
soggetti sottoposti all’esperimento sono in media del 30% più basse nella
posizione eretta che nella posizione seduta.
In tutti i casi nei quali la pressione fu misurata con i soggetti distesi, la
pressione fu più bassa rispetto alle altre due posizioni, nonostante i soggetti
assumessero posizioni goffe e contratte sopra il tavolo di prova. In tutti i casi le
più alte pressioni rilevate furono quelle da posizione seduta, circa il 30 % in meno
nella posizione eretta e circa il 50 % in meno nella posizione distesa rispetto
sempre a quella seduta. Il disco intervertebrale più basso deve sostenere un carico
totale dai 100 ai 175 Kg quando il soggetto è seduto; nella posizione eretta,
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invece, i valori vanno da 90 a 120 Kg.
Figura 1.5: Relazione approssimativa tra posizione e pressione totale sul terzo e
quarto disco lombare normale. Le posizioni prese in considerazione sono: seduto, in
piedi, disteso con inclinazione laterale e disteso con completo rilassamento
muscolare (in un soggetto sotto anestesia generale, con l’assunzione di rilassanti
muscolari, la pressione registrata fu simile a quella rilevata in alcuni campioni di
cadaveri).
POSIZIONE DEL SOGGETTO N
Supino, sveglio
Supino, gambe sollevate
Supino, in trazione con una forza di 500 N
Supino, tavolo inclinato di 50°
Supino, durante esercizi per le braccia
Seduto dritto, senza schienale di supporto
Seduto con un supporto lombare, schienale inclinato di 110°
Stare in piedi in modo naturale
Colpo di tosse
Tensione nervosa
Piegato in avanti di 20°
Piegato in avanti di 40°
Piegato in avanti di 20° tenendo un peso di 20 Kg
Flesso in avanti di 20°, ruotato di 20°, tenendo un peso di 10 Kg
Esercizi di sit-up
Sollevamenti delle gambe da entrambi i lati
Sollevamento di 10 Kg, schiena dritta e ginocchia piegate
Sollevamento di 10 Kg, schiena piegata
Mantenere un peso di 5 Kg sul davanti del corpo con braccia estese
250
100
0
400
500
700
400
500
600
600
600
1000
1200
2100
1200
800
1700
1900
1900
PAOLI A., MARCOLIN G., PACELLI Q. F., GRAINER A., BATTAGLIA G., BIANCO A.
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Tabella 1.1: Carico approssimativo sul disco intervertebrale di L3 su una persona
del peso di 70 Kg (da Nachemson 1981).
Sebbene da allora siano stati effettuati numerosi altri studi da parte dello
stesso Nachemson e da altri autori, riguardanti la pressione intradiscale, anche da
questo studio datato, che però rappresenta un cardine in materia, possiamo
ricavare delle importanti considerazioni di carattere pratico da applicare allo
svolgimento degli esercizi in sala attrezzi.
Per esempio, notiamo subito che la posizione seduta provoca pressioni
intradiscali più elevate quindi è preferibile, se l’esercizio lo permette, la stazione
eretta.
Un’altra evidenza che balza subito all’occhio è che la posizione distesa e in
particolar modo quella di decubito supino a gambe sollevate sopra un appoggio è
la posizione che provoca le pressioni intradiscali più basse; sarà quindi
raccomandabile inserire durante la seduta di allenamento o al termine della stessa
dei momenti in cui, utilizzando questa posizione, si pone il rachide lombare in
posizione di scarico.
4. Effetto della cintura durante attività di potenziamento muscolare con
sovraccarichi
Numerosi studi hanno preso in esame corsetti addominali e busti di supporto
per la schiena e il loro ruolo nel ridurre il dolore lombare nella popolazione
normale (Grew e Deane 1982, Kumar e Godfrey 1986, Million et al 1981); se la
cintura protegga oppure no i lavoratori impiegati nell'industria dal rischio di
infortuni è un argomento di crescente interesse. Sembra esserci una crescente
evidenza la quale suggerisce che le cinture per la schiena non offrono alcun
vantaggio psicologico (Duplessis et al 1998, Marley e Duggasani 1996, Petrofsky
e Linda 1978, Rafacz e McGill 1996).
Per esempio, Petrofsky e Linda (1978) riferiscono che la compressione
addominale prodotta da un meccanismo di supporto esterno riduce la capacità di
muovere grandi volumi di aria nei polmoni.
Rafacz e McGill (1996) scoprirono che indossare una cintura addominale
incrementava la pressione diastolica delle persone partecipanti allo studio.
Tuttavia è stato osservato che l'elettromiografia dei muscoli del tronco mentre si
indossa un'ortosi lombare aumenta in certi casi e diminuisce in altri casi (Lantz e
Schultz 1986).
McGill et al. (1990) non trovarono una significativa differenza nell'attività
dei muscoli lombari associata con l'aumento della IAP.
Il fatto di indossare la cintura può avere un benefico effetto sulla cinematica
della colonna vertebrale come dimostra lo studio condotto da Giorcelli et al.
(2001). La massima flessione della colonna, i piegamenti laterali e le torsioni della
stessa si ridussero significativamente mentre i soggetti dell'esperimento
indossavano la cintura e sollevavano grandi scatole. Si ridussero anche la massima
velocità angolare in flessione e la massima velocità angolare in estensione.
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Aumentarono, per contro, la massima flessione delle anche e delle ginocchia
mentre i soggetti indossavano la cintura. Considerando che con la cintura
diminuirono anche i movimenti del tronco, appare scontato pensare che l'uso di un
supporto alla schiena provoca delle modificazioni della cinematica abituale del
soggetto obbligandolo ad adottare più la tecnica dello squat che quella dello stoop
(flessione della colonna con ginocchia flesse). Simili scoperte sono riportate da
Granata et al. (1997) e da Sparto et al.(1998).
L'evidenza di una diminuita attività elettromiografica è stata sfruttata nel
passato per stabilire se la IAP poteva contribuire allo sviluppo del momento di
estensione della forza e alleviare gli estensori lombari da parte delle loro
responsabilità di supporto. Nel lavoro svolto da Lee e colleghi (2002) l'attività
mioelettrica dei muscoli lombari è notevolmente diminuita con l'uso della cintura.
Analogo decremento dell'attività elettrica degli estensori della schiena viene
riportato da Magnusson et al. (1996). In aggiunta, Granata et al.(1997) riportano
che solo la cintura elastica tra tre tipi di cinture studiate riduce in modo
significativo l'elettromiografia dei muscoli lombari.
Alcuni studi presentano risultati contrastanti rispetto a quelli appena citati
rilevando piccoli cambiamenti o addirittura nessuno nell'elettromiografia degli
erettori del rachide in seguito all'uso della cintura (Hemborg et al 1985, Lander et
al 1992, Lantz e Schultz 1986, McGill et al 1990).
Ancora secondo altri autori la cintura aumenta la pressione intra.muscolare
degli erettori spinali e rende più rigido il tronco (Miyamoto et al 1999, Cholewicki
et al 1999)
La controversia potrebbe essere dovuta principalmente all'uso dei più
disparati modelli di cintura e diversità dei metodi impiegati.
Il NIOSH (National Institute for Occupational Safety e Health) ha affermato
che le caratteristiche meccaniche dei vari modelli di cintura e il modo con cui esse
vengono indossate non è stato controllato negli studi riportati.
Nello studio di Lee (2002) gli autori osservarono, oltre ad una diminuzione
dell'attività elettromiografica dei muscoli della regione lombare associata all'uso
della cintura, anche un incremento dell'attività del 50% per quanto riguarda il retto
dell'addome e l'obliquo esterno; l'incremento raggiunge valori del 200% quando il
carico sollevato viene aumentato di 15 Kg. Un incremento quindi non
trascurabile. La scoperta dell'incremento elettromiografico della parete
addominale associato con l'uso della cintura viene supportata anche da altri studi
(Granata et al 1997, Lander et al 1992, Lantz e Schultz 1986, Marley e Duggasani
1996). In effetti sembra comunque fondamentale la respirazione per garantire la
massima resa della cintura e quindi inspirare prima dello sforzo (Kingma et al
2006) garantendo una riduzione del 10% del carico sulla zona lombare. Questa
riduzione non sembra essere causata dalla IAP ma dal momento generato dalla
cintura (quando vi sia contestuale inspirazione)
PAOLI A., MARCOLIN G., PACELLI Q. F., GRAINER A., BATTAGLIA G., BIANCO A.
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5. Frequenza di uso della cintura
Un altro fattore da considerare è quanto spesso deve essere indossata la
cintura. Numerosi autori ritengono che essa conduca ad atrofia da disuso dei
muscoli lombari poiché si osserva diminuzione dell'attività elettromiografica di
questi muscoli associata all'uso della cintura (Morris et al 1961, Waters e Morris
1970). Secondo Harman (1989) i muscoli addominali non vengono rinforzati
come invece lo sarebbero se la cintura non fosse indossata durante l'allenamento.
Questa considerazione spinge lo stesso autore a raccomandare agli atleti e ai
lavoratori di svolgere almeno qualche allenamento senza la cintura per rinforzare
lo strato profondo degli addominali per sviluppare un modello di reclutamento
muscolare in grado di provocare elevate IAP quando la cintura non viene
indossata.
L'ipotesi che la mancanza di allenamento provoca infortuni proposta da
Harman è supportata dalle scoperte di Reddel et al. (1992) i quali osservarono che
i lavoratori che non indossavano la cintura con continuità avevano percentuali di
infortunio più elevate dei gruppi di controllo che non indossavano alcuna cintura o
che non interrompevano l'uso della stessa. Ancora, Holmstrom e Moritz (1992)
non rilevarono alcuna diminuzione di forza e di resistenza degli estensori lombari
in un gruppo di operai edili che indossavano la cintura mentre notarono un
incremento di forza dei flessori del tronco in un periodo di studio di 2 mesi
(questo fu osservato con entrambi i modelli di cintura: elastica e di cuoio).
L'aumentata attivazione dei flessori del tronco con l'uso della cintura è stata
osservata in altri studi (Granhed et al 1987, Holmstrom e Moritz 1992, Lander et
al 1992, Lantz e Schultz 1986, McGill et al 1990).
L'effetto deallenante dei flessori del tronco provocato dall'uso della cintura
è altamente improbabile secondo Lee (2002), mentre la diminuita attività degli
estensori come effetto de-allenante causato dall'uso della cintura è una
controversia che non è ancora stata risolta.
Secondo Lander (1992) potrebbe rivelarsi vantaggioso effettuare dei
sollevamenti leggeri senza l'ausilio della cintura per rinforzare sia gli addominali
che i muscoli della schiena. Il metodo più sicuro potrebbe essere usare la cintura
durante sollevamenti pesanti (80% o più del massimale) se gli atleti hanno alle
spalle una storia di mal di schiena o di precedenti infortuni. Non è consigliabile
permettere che un sollevatore diventi troppo dipendente da un ausilio esterno,
specialmente se l'uso della cintura non è funzionale all'attività che il sollevatore
sta svolgendo.
6. Conclusioni
Un adeguato allenamento della muscolatura, non solo addominale ma anche
lombo dorsale e tronculare, risulta fondamentale per permettere l’esecuzione di
esercizi di sollevamento di carichi in relativa sicurezza. Un adeguato ritmo
respiratorio permetterebbe di aumentare la IAP durante gli esercizi più
impegnativi, ma questa manovra dovrebbe essere eseguita solamente nei momenti
SEZIONE 2
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dell’esercizio dove vi sia un picco di compressione e/o di forza agenti sul rachide.
Gli esercizi di tipo “funzionale” tanto di moda oggi nei centri Fitness potrebbero,
da questo punto di vista avere una loro ragione d’essere, soprattutto se applicati al
corpetto addomino-lombare. In effetti Nuzzo et al 2008 hanno dimostrato che per
aumentare l’attività EMG della muscolatura estensoria siano da preferire esercizi
complessi come gli stacchi da terra (deadlift) piuttosto che esercizi di
potenziamento analitici eseguiti sulla gymball. Per quanto concerne la cintura essa
sembra essere in grado di aumentare l’azione della muscolatura lombo
addominale tramite meccanismo riflessi (riflesso muscolo-cutaneo) aumentando
così la IAP. La sua importanza sembra quindi più legata alla sua azione
“contenitiva” tipica delle cinture morbide che all’azione puramente “meccanica”
delle cinture di cuoio rigido dei sollevatori di peso. I dati in letteratura inoltre
suggeriscono come sia preferibile evitare l’utilizzo della cintura anche durante
allenamenti leggeri o sub-massimali riservandone l’utilizzo per prestazioni
massimali con carichi molto elevati per evitare un probabile effetto de-allenante
della muscolatura estensoria ed addominale.
7. Bibliografia
1. Aggrawal N.D., Ravinder K., Kumar S., Mathur D. A study of changes in
the spine in weight lifters and other athletes. Br.J.Sports Med.13:58-61,
1979.
2. Ahlgren S.A., Hansen T. The use of lumbosacral corsets prescribed for
low back pain. Proshet. Orthotics Int.2:101-104, 1978.
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Article
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The back muscles alone are unable to provide the extensor moment required to lift large weights, and must be aided by another source of anti-flexion moments. It has been postulated that contraction of the abdominal muscles can provide an extension moment by developing tension in the thoracolumbar fascia (TLF). Anatomical studies and a biomechanical analysis, however, reveal that the anti-flexion moment generated in this way is only very small. Too little of the abdominal musculature attaches to the TLF to generate a significant tension in it. Previous calculations of the forces in the TLF have overestimated the tension developed in it because of erroneous assumptions and interpretations of the relevant anatomy. Whatever the role played by the TLF in lifting it must be essentially independent of abdominal mechanisms.
Article
Clinical observations indicating that a weightlifter's belt can relieve low back pain and may also prevent low back complaints, have been made in a recent study. Before recommending such a belt or some other support for preventive purposes its immeditate physiological effects should be studied. Twenty male subjects, with a history of 2-18 years of more or less continuous low back pain, and ten healthy, welltrained weightlifters were put through a series of leg lifts and back lifts of 0-55 kg, with and without a non-elastic lumbar support of a thermoplastic material or a weightlifter's belt. Continuous recording of the EMG activity of the obliqueabdominal muscles, and of the erector spinae and the intraabdominal and the intra-thoracic pressures were made. The two supports gave the same effects. The intra-abdominal pressure increased by 1-3 kPa before, during and after the lifts and lowerings but the intra-thoracic pressure was only slightly increased during some of the lifts. The myoelectrical activities of the oblique abdominals and the erector spinae were quite unaffected by the two supports. Further studies are needed to elucidate the effects of longstanding use, before these smaller supports and belts can be recommended prophylactically.
Article
Most injuries can be prevented by following safe procedures. A coach or fellow lifter should be present during workouts, and proper breathing is important for preventing blackouts during lifts. Lifting platforms, shoes with good counters and support around the midfoot, and wraps to prevent skin-to-skin sticking also help to prevent injuries. Finally, because inflexibility and improper technique cause most lifting injuries, the lifter should concentrate on developing these abilities.
Article
To evaluate the effects of abdominal belts on lifting performance, muscle activation, intra-abdominal pressure and intra-muscular pressure of the erector spinae muscles. Simultaneous measurement of intra-abdominal pressure, intra-muscular pressure of the erector spinae muscles was performed during the Valsalva maneuver and some isometric lift exertions. While several hypotheses have been suggested regarding the biomechanics of belts and performance has been found to increase when lifting with belts, very little is known about the modulating effects on trunk stiffness. At present, there is no reason to believe that spine tolerance to loads increases with belts. An abdominal belt designed for weightlifting was used. Intra-abdominal pressure, intra-muscular pressure of the erector spinae muscles and myoelectric activities of trunk muscles (erector spinae, rectus abdominis and external oblique) were measured simultaneously during the Valsalva maneuver as well as three types of isometric lifting exertions (arm, leg and torso lift). A paired t-test was used to analyze for statistical differences between the two conditions (without-belt and with-belt) in intra-abdominal pressure, intra-muscular pressure of the erector spinae muscles and in the integrated EMG of the trunk muscles. Intra-muscular pressure of the erector spinae muscles increased significantly by wearing the abdominal belt during Valsalva maneuvers and during maximum isometric lifting exertions, while maximum isometric lifting capacity and peak intra-abdominal pressure were not affected. Integrated EMG of rectus abdominis increased significantly by wearing the abdominal belt during Valsalva maneuvers (after full inspiration) and during isometric leg lifting. Wearing abdominal belts raises intra-muscular pressure of the erector spinae muscles and appears to stiffen the trunk. Assuming that increased intra-muscular pressure of the erector spinae muscles stabilizes the lumbar spine, wearing abdominal belts may contribute to the stabilization during lifting exertions.
Article
The industrial back support has seen widespread and increasing use in manual material handling activities in recent years. This paper reports the results of a laboratory investigation in which subjects performed manual lifting of 7 and 14 kg loads at frequencies of 3, 6, and 9 lifts/minute. The six lifting task combinations were repeated under both with-support and without-support conditions while a total of 17 physiological, kinematic, and psychophysical variables were recorded. Based upon analysis, several general conclusions were reached: (1) with the exception of blood pressure, industrial back supports did not affect physiological responses, including energy expenditure, during lifting; (2) significant increases in blood pressure (both systolic and diastolic) while wearing a back support may present long-term health concerns for some worker populations; (3) lifting style in the sagittal plane was not altered by the support; and (4) subjects did not perceive less effort in lifting with a back support versus without. Overall, these results suggest that the demands of lifting are not reduced with the use of an industrial back support. The lack of rationale for the use of these devices based upon ergonomic criteria should call into question the continued prescription of the devices under the presumption of hazard control.
Article
Two hundred and one randomly selected patients (109 women and 92 men) fitted with their first lumbosacral corset because of low back pain were interviewed 3.5--4.5 years later. Two-thirds of the patients were 41--70 years when fitted with the corset. Barely three-quarters of them wore the corset regularly immediately after prescription. One-fifth became symptom-free within the period covered by the study. Of those who still had symptoms at the time of the interview, two-thirds (about half of the original material) were still wearing a corset. Of these two-thirds, about half wore the corset at least once a week. The women doing heavy work and female pensioners tended to use their corsets more frequently. The frequency with which the corsets were used was not influenced by the clinical diagnosis or the type of corset used. As many as 89 per cent of the patients reported that they used the corset because it supported their back or because it not only gave such support, but also relief from the pain. Thirty-seven of 96 non-users reported that the corset did not fit well but only 7 that they did not benefit from the use of the corset. A better follow-up of users would surely increase the frequency with which such corsets are used to the advantage of the patients.