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Management of patients with type 2 diabetes during cardiac prevention and rehabilitation. An expert opinion from the Italian Alliance for Cardiovascular Rehabilitation and Prevention (ITACARE-P)

Authors:

Abstract

Patients with diabetes, regardless of their cardiovascular disease and their index event, are more and more often referred to Cardiac Rehabilitation Units. These patients usually show high or very high cardiovascular risk, marked disability and poor quality of life. Furthermore, those with older age, frailty, and female sex have even more rehabilitative needs, thus requiring fine individualized approaches. Consequently, in order to identify their therapeutic goals, the glycemic target should be pursued together with the effective reduction of the global cardiovascular risk. Modern exercise protocols are based on the synergic effect of both aerobic and strength training of moderate and high effort intensities, in order to achieve improvements of cardiorespiratory fitness and glycemic values as well. Exercise training and nutritional intervention are strictly related during the rehabilitation program, thus promoting better lifestyle in the long term too. New antidiabetic drugs (such as sodium-glucose cotransporter 2 inhibitors and glucagon-like peptide-1 receptor agonists) should be included into a specific "patient journey" along with other core components of the rehabilitation program. Therefore, the active role of all allied professionals (namely nurses, physiotherapists, dietitians and psychologists) is essential to the success of the cardiometabolic team. Diabetes should be routinely included in the outcome evaluation of cardiac rehabilitation programs and in every follow-up plan through a successful crosstalk among cardiologists, diabetologists and patients.
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G ITAL CARDIOL | VOL 24 |
INTRODUZIONE
Il documento della Italian Alliance for Cardiovascular Rehabi-
litation and Prevention (ITACARE-P) sulla gestione del diabete
in Cardiologia Preventiva e Riabilitativa (CPR), per la rilevanza
clinica e la frequente presentazione nel contesto riabilitativo e
di prevenzione, verte su due tipologie di pazienti: soggetti con
La gestione del paziente con diabete di tipo 2
in Cardiologia Preventiva e Riabilitativa.
Expert opinion della Italian Alliance for Cardiovascular
Rehabilitation and Prevention (ITACARE-P)
Marco Ambrosetti1, Francesco Fattirolli2, Francesco Maranta3, Matteo Ruzzolini4, Manfredi Rizzo5,
Gian Francesco Mureddu6, Raffaele Griffo7, Elio Venturini8, Francesco Giallauria9, Francesco Orso10,
Alessandra Pratesi11, Angelo Patti12, Francesco Perone13
1U.O.C. Riabilitazione Cardiologica, ASST Crema, Presidio di Rivolta d’Adda (CR)
2Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, Università degli Studi, Firenze
3U.O. Cardiologia Riabilitativa, IRCCS Ospedale San Raaele, Milano
4Servizio di Cardiologia Riabilitativa, Ospedale Fatebenefratelli Isola Tiberina - Gemelli Isola, Roma
5Dipartimento di Promozione della Salute, Materno-Infantile, di Medicina Interna e Specialistica di Eccellenza G. D’Alessandro
(PROMISE), Università degli Studi, Palermo
6U.O.S.D. Cardiologia Riabilitativa, Azienda Ospedaliera San Giovanni-Addolorata, Roma
7Consiglio Direttivo Italian Alliance for Cardiovascular Rehabilitation and Prevention (ITACARE-P)
8U.O. Riabilitazione Cardiologica, Ospedale di Cecina (LI)
9Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali, Università di Napoli Federico II”, Napoli
10S.O.D. Cardiologia e Medicina Geriatrica, Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, Firenze
11Ospedale San Giuseppe, Empoli (FI)
12Unità di Medicina Interna, Ospedale Vittorio Emanuele II, Castelvetrano (TP)
13Unità di Riabilitazione Cardiologica, Clinica Riabilitativa Villa delle Magnolie”, Castel Morrone (CE)
a nome del Consiglio Direttivo e Comitato Scientifico ITACARE-P:
Marco Ambrosetti, Pasqualina Calisi, Lorenza Dal Corso, Pompilio Faggiano, Oreste Febo, Anna Frisinghelli, Francesco Giallauria,
Francesco Maranta, Alessandra Pratesi, Matteo Ruzzolini, Simonetta Scalvini, Elio Venturini, Arturo Cesaro, Francesco Orso, Marika Werren,
Raffaele Griffo, Gian Francesco Mureddu, Luigi Tavazzi, Carlo Vigorito, Manfredi Rizzo, Francesco Fattirolli
Patients with diabetes, regardless of their cardiovascular disease and their index event, are more and
more often referred to Cardiac Rehabilitation Units. These patients usually show high or very high car-
diovascular risk, marked disability and poor quality of life. Furthermore, those with older age, frailty,
and female sex have even more rehabilitative needs, thus requiring fine individualized approaches. Con-
sequently, in order to identify their therapeutic goals, the glycemic target should be pursued together
with the effective reduction of the global cardiovascular risk. Modern exercise protocols are based on
the synergic effect of both aerobic and strength training of moderate and high effort intensities, in
order to achieve improvements of cardiorespiratory fitness and glycemic values as well. Exercise training
and nutritional intervention are strictly related during the rehabilitation program, thus promoting better
lifestyle in the long term too. New antidiabetic drugs (such as sodium-glucose cotransporter 2 inhibitors
and glucagon-like peptide-1 receptor agonists) should be included into a specific “patient journey”
along with other core components of the rehabilitation program. Therefore, the active role of all allied
professionals (namely nurses, physiotherapists, dietitians and psychologists) is essential to the success of
the cardiometabolic team. Diabetes should be routinely included in the outcome evaluation of cardiac
rehabilitation programs and in every follow-up plan through a successful crosstalk among cardiologists,
diabetologists and patients.
Key words. Cardiovascular risk; Diabetes; Prevention; Rehabilitation.
G Ital Cardiol 2023;24
position paper
© 2023 Il Pensiero Scientifico Editore
Ricevuto 26.02.2023; nuova stesura 12.04.2023; accettato 09.05.2023.
Gli autori dichiarano nessun conflitto di interessi.
Per la corrispondenza:
Prof. Francesco Fattirolli Dipartimento di Medicina Sperimentale
e Clinica, Università degli Studi, Largo Brambilla 3, 50134 Firenze
e-mail: francesco.fattirolli@unifi.it
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COMPONENTI DELL’INTERVENTO RIABILITATIVO
Definizione degli obiettivi terapeutici
Gli obiettivi terapeutici di un paziente con diabete all’avvio di
un percorso di CPR non sono differenti da quelli di ogni altro
paziente8. In presenza di diabete vi sono tuttavia alcune decli-
nazioni specifiche: la stabilizzazione clinica include un accurato
controllo glicemico, da intendersi modernamente come condi-
zione per ridurre il rischio CV e non unicamente finalizzato alla
prevenzione di episodi sintomatici di iper- o ipoglicemia. Come
target di trattamento, in linea con le raccomandazioni europee
e nazionali 20218,9, nella maggior parte dei pazienti adulti con
diabete di tipo 2 il valore di emoglobina glicata (HbA1c) do-
vrebbe essere inferiore a 7% (53 mmol/mol), ridotto a 6.5%
(48 mmol/mol) in caso di diagnosi recente, assenza di fragilità
e trattamento con farmaci non associati ad ipoglicemia; nei pa-
zienti trattati con farmaci associati ad ipoglicemia o negli an-
ziani il target di HbA1c del 7% potrebbe essere meno rigoroso.
Target glicemici secondari (ad esempio basali o postprandiali)
non sono al momento raccomandati nella pratica di prevenzio-
ne CV, ad eccezione della limitazione degli eventi di ipoglicemia
sintomatica, stante il loro significato prognostico sfavorevole.
Per quanto riguarda la pressione arteriosa ed il controllo lipidi-
co, i target sono quelli delle raccomandazioni attuali e riportati
nelle linee guida di CPR8.
Valutazione clinico-funzionale
La valutazione clinico-funzionale del paziente con diabete in
CPR dovrebbe essere condotta attraverso un moderno approc-
cio che tenga conto delle specifiche aree di intervento multidi-
sciplinare. Operativamente, il momento valutativo all’ingresso
in CPR, indipendentemente dalla cardiopatia di base, nello spe-
cifico dovrebbe comprendere sistematicamente: 1) la precisa
identificazione del rischio CV; 2) la sistematica valutazione della
sintomatologia; 3) la definizione del controllo glicemico (glice-
mia basale e HbA1c), comprensiva di fattori di rischio e predi-
sposizione a sviluppare ipoglicemia; 4) lo screening di primo
livello per complicanze associate al diabete (filtrato glomerulare
e microalbuminuria per il danno renale, indice caviglia-braccio
e/o eco-color Doppler per arteriopatia periferica); 5) la revisione
della terapia farmacologica in corso e la previsione di aderen-
za. Essendo l’intervento di CPR focalizzato sull’esercizio fisico,
oltre al rischio di ipoglicemia in corso di attività fisica è oppor-
tuno valutare la presenza di neuropatia periferica, alterazioni
disautonomiche, disturbi della vista da retinopatia e lesioni
trofiche agli arti inferiori. L’analisi multiparametrica della capa-
cità funzionale rappresenta un cardine della valutazione ed il
presupposto alla prescrizione del trattamento, soprattutto per
la tolleranza all’esercizio aerobico e per la forza muscolare. Nei
pazienti con diabete, come nella maggior parte dei gruppi di
accesso alla CPR, il test cardiopolmonare – quando disponibi-
le ed eseguibile – rappresenta il “gold standard” per la valu-
tazione della capacità funzionale globale, con l’accortezza di
correggere il valore di consumo di ossigeno rispetto al peso del
paziente eventualmente obeso8.
Training fisico
I pazienti con diabete di tipo 2 presentano spesso anche una
ridotta fitness cardiorespiratoria (CRF). I meccanismi fisiopa-
tologici alla base della ridotta tolleranza allo sforzo sono co-
stituiti dalla limitazione al raggiungimento del picco di carico
di lavoro, dall’inefficienza ventilatoria, dalla disfunzione au-
diabete e patologia cardiovascolare aterosclerotica (ASCVD)
documentata e soggetti con diabete senza ASCVD ma cata-
logabili a rischio cardiovascolare (CV) elevato o molto elevato,
secondo la definizione delle linee guida 2021 di prevenzione
CV della Società Europea di Cardiologia1. Alcune delle condi-
zioni che definiscono una ASCVD, quali l’infarto o la rivasco-
larizzazione coronarica, sono anche indicazioni specifiche per
il “referral” in CPR, mentre altre costituiscono condizioni di
comorbilità. Dal documento sono esclusi i pazienti con diabete
senza ASCVD a rischio moderato, ovvero affetti da diabete da
meno di 10 anni, senza danno d’organo e senza ulteriori fat-
tori di rischio addizionali, poiché scarsamente rappresentati nel
contesto della CPR.
EPIDEMIOLOGIA
Per i soggetti con diabete e ASCVD, uno studio di registro ita-
liano su dati amministrativi2 ha valutato la prognosi a breve e
lungo termine dell’infarto miocardico acuto (IMA), compren-
dendo il peso del diabete come componente del rischio ate-
rotrombotico residuo. Degli oltre 200 000 pazienti osservati, il
45% mostrava elevato rischio residuo e il 16% di questi erano
diabetici, con un tasso di eventi CV maggiori di circa il 25% a
1 mese e del 40% a 5 anni. Lo scompenso cardiaco (SC) rap-
presenta inoltre un importante modulatore di rischio, essendo
presente nei soggetti con diabete fino al 60% dei casi e in-
fluenzando significativamente il tasso di riospedalizzazione3.
I pazienti con diabete rappresentano complessivamente
un terzo dell’intera popolazione riferita a programmi di CPR,
con una maggiore prevalenza, rispetto ai soggetti senza dia-
bete, di altri fattori di rischio CV, di comorbilità (soprattutto
arteriopatia periferica, broncopneumopatia cronica ostruttiva
e insufficienza renale cronica) e di complicanze durante l’in-
tervento riabilitativo4. Al momento del trasferimento da una
struttura per acuti alla CPR, un trattamento con insulina è pre-
sente in un terzo dei pazienti, indipendentemente dall’evento
indice CV4, condizione che implica la necessità di uno stretto
monitoraggio glicemico durante l’intervento riabilitativo.
DISABILITÀ E QUALITÀ DI VITA
In campo cardiologico è sempre maggiore l’attenzione per
disabilità, fragilità e multimorbilità, situazioni che possono
anche coesistere nello stesso paziente ma che sottendono
condizioni e problematiche diverse. La disabilità nell’adulto
affetto da patologia CV è per lo più identificata con la limita-
zione lavorativa, mentre nell’anziano rappresenta l’incapacità
di attendere autonomamente ad alcune o più attività di base5.
Il diabete è importante causa di disabilità, sia per l’iperglice-
mia sia per le complicanze della patologia stessa. Nell’anziano
la presenza di diabete aumenta di 2-3 volte il rischio di disa-
bilità, indipendentemente da altre patologie, particolarmente
nelle donne e nei soggetti con obesità6. La durata del diabete,
le complicanze, l’utilizzo di insulina e il controllo glicemico pos-
sono influenzare negativamente la qualità di vita in tutti i fonda-
mentali domini: fisico, cognitivo, psicologico e sociale7. Sebbene
non vi sia accordo sull’opportunità di valutare sistematicamente
la qualità di vita nel paziente con diabete e soprattutto su quale
strumento utilizzare, è importante considerare l’impatto su di
essa di plurimi determinanti psicosociali e valorizzare interventi
alla stessa stregua delle modifiche terapeutiche.
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Diabete e CarDiologia Preventiva e riabilitativa
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Tabella 1. Per ulteriori obiettivi del training fisico in aggiun-
ta al controllo glicemico, le attuali evidenze non consentono
conclusioni definitive: la composizione corporea, ad esempio,
non può essere considerata target di un intervento basato
sull’esercizio fisico, dal momento che se anche un elevato in-
dice di massa corporea correla con una prognosi peggiore,
il calo ponderale non rappresenta una condizione essenziale
per la riduzione del rischio CV.
Intervento nutrizionale
Le linee guida di prevenzione CV concordano sul fatto che lo
stile di vita sia fondamentale per la prevenzione e il controllo
del diabete e che l’intervento nutrizionale ne rappresenti un
cardine1. In linea generale, la dieta mediterranea supplemen-
tata con olio di oliva (o noci) riduce gli eventi CV maggiori
nel paziente con diabete e dovrebbe rappresentare il regime
alimentare ideale, da mantenere nel lungo periodo. Il ruolo
delle diete a basso contenuto di carboidrati rimane tuttora
indefinito, mentre per quanto concerne l’apporto di grassi,
frutta, verdura, legumi e cereali, viene mantenuto il riferimen-
to alla “healthy diet” di prevenzione CV1. Diete ricche di fibre
migliorano il controllo glicemico, il profilo lipidico e riducono
tonomica che produce inappropriate variazioni di frequenza
cardiaca e pressione arteriosa, dall’alterazione del comporta-
mento emodinamico dei capillari, dalla rarefazione del tes-
suto capillare del muscolo scheletrico e dalle alterazioni del
fenotipo muscolare liscio in termini di funzione endoteliale.
In questi soggetti l’incremento della CRF è associato a un mi-
glioramento della prognosi, sia nei pazienti portatori che non
portatori di coronaropatia10,11. Un’attività equivalente al con-
sumo di 10 MET/h la settimana (ad esempio 2 h complessive
di camminata a ritmo sostenuto) può essere sufficiente per
ridurre morbilità e mortalità CV12. Non sussistono controin-
dicazioni per lo svolgimento di attività ad elevata intensità
nel soggetto con diabete, anche in presenza di concomitante
obesità13. I pazienti con valori di partenza di HbA1c più ele-
vati mostrano i maggiori guadagni dal training fisico14, so-
prattutto con la combinazione di training aerobico e training
di resistenza per la loro azione sinergica su massa/funzione
muscolare e capacità ossidativa15.
La prescrizione dell’esercizio nel paziente con diabete –
in termini di tipologia di esercizio, carico applicato e volumi
complessivi di training – richiede una fine personalizzazio-
ne16,17 per la quale si riassumono alcuni spunti operativi in
Tabella 1. Target di intervento del training fisico nel paziente con diabete e relative strategie in Cardiologia Preventiva e Riabilitativa.
Dominio Target
Rilevanza del target in
presenza di patologia
cardiovascolare
Strategia di intervento Modulazioni secondo schema FITT
Metabolico Controllo glicemico Maggiore Combinazione di AET
e RT (superiore ad AET
e RT singoli)
AET:
Frequenza: 3-5 sessioni/settimana
Intensità: 50-70% pVO2 per endurance
continuo; 90-95% pVO2 per “interval
training” ad alta intensità
Tempo: durata delle sessioni finalizzata
a raggiungere un consumo energetico
di almeno 20 MET*h/settimana. Durata
complessiva del programma tra 2 e 8
settimane, maggiore se per finalità di
modulazione composizione corporea
Tipo: endurance continuo o “interval
training” ad alta intensità. Se non
praticabili considerare nel diabetico
sedentario “interrupted sitting” come
tecnica alternativa
RT:
Frequenza: 2-3 sessioni/settimana
Intensità: 75-85% 1-RM
Tempo: durata complessiva del
programma tra 2 e 8 settimane,
maggiore se per finalità di modulazione
composizione corporea
Tipo: reclutamento di grandi gruppi
muscolari in circuito personalizzato;
8-10 ripetute per set; 2-4 set per gruppo
muscolare
Controllo lipidico Maggiore (adiuvante
all’intervento
farmacologico)
AET (dati ancora
insufficienti per RT)
Riduzione
dell’infiammazione Maggiore (con limiti
di trasferibilità nella
pratica clinica)
Combinazione di AET
e RT (superiore ad AET
e RT singoli)
Funzionale Incremento della fitness
cardiorespiratoria Maggiore Combinazione di AET
e RT (superiore ad AET
e RT singoli)
AET ad alta intensità
superiore rispetto a AET
a moderata intensità
Miglioramento della
funzione endoteliale Maggiore (con limiti
di trasferibilità nella
pratica clinica)
AET
Incremento della forza
muscolare Potenziale Combinazione di AET e RT
Controllo pressorio Maggiore (adiuvante
all’intervento
farmacologico
e in associazione alla
riduzione di BMI)
AET (ridotto effetto di RT)
Regolazione autonomica Potenziale AET
Strutturale Controllo del peso Rilevante nell’obeso Elevato volume di training
Combinazione con dieta
e counselling
Composizione corporea Potenziale Elevata intensità e volume
di training
Combinazione con dieta
e counseling
1-RM, 1 ripetizione massima; AET, training aerobico; BMI, indice di massa corporea; FITT, frequenza, intensità, tempo e tipo di esercizio; MET,
equivalente metabolico; RT, training di resistenza; pVO2, consumo di ossigeno al picco dello sforzo.
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recettoriali del glucagon-like peptide-1 (GLP1-RA) – ma non
degli inibitori della dipeptidil peptidasi 4 (DPP4i) – sui classici
eventi CV (morte CV, infarto miocardico non fatale e ictus
non fatale) era addirittura maggiore nei soggetti più anziani24.
La CPR rappresenta il contesto più idoneo per la combi-
nazione di interventi farmacologici e non farmacologici at-
traverso l’approccio multidisciplinare, garantendo una mag-
giore aderenza alle raccomandazioni e un tempo adeguato
per poter apportare le eventuali modificazioni terapeutiche.
Per quanto riguarda gli SGLT2i, nel contesto riabilitativo sono
di particolare rilievo gli interventi educativi, con eventuale
coinvolgimento dei caregiver, per prevenire possibili infezioni
urogenitali e attuare il monitoraggio della diuresi e del peso,
al fine di individuare segni di deplezione di volume e rischio di
deterioramento della funzionalità renale.
Gli studi clinici che hanno testato efficacia e sicurezza dei
nuovi farmaci antidiabetici hanno arruolato una percentuale
minore di donne (20-40%) con conseguente possibile bias
per la generalizzabilità dei risultati. Per quanto riguarda le dif-
ferenze sesso-correlate nelle nuove classi di farmaci, è stato
osservato che i GLP1-RA determinano una maggiore perdita
di peso nelle donne, ma anche una più alta incidenza di effetti
avversi gastrointestinali, mentre gli SGLT2i possono causare
più frequentemente chetoacidosi e infezioni urinarie25.
MODERNI ALGORITMI TERAPEUTICI NEL PAZIENTE
CON DIABETE DI TIPO 2 IN CARDIOLOGIA
PREVENTIVA E RIABILITATIVA
Agonisti recettoriali del glucagon-like peptide-1
A seguito della dimostrazione degli effetti favorevoli sul cuo-
re della liraglutide26, successivamente confermati anche per
semaglutide e dulaglutide27, attualmente si ritiene che com-
lo stato infiammatorio generale dei pazienti. I benefici non
sono confinati a specifici tipi di fibre e un incremento di in-
troito giornaliero di fibre da 15 g a 35 g potrebbe rappresen-
tare un ragionevole obiettivo in grado di avere riflessi sulla
prognosi dei pazienti con diabete di tipo 2. Questo obiettivo
si ottiene principalmente sostituendo l’assunzione di carboi-
drati raffinati con carboidrati integrali18. L’apporto giornaliero
di proteine non necessita di essere aggiustato nel paziente
con diabete, a meno che non sia presente una condizione di
nefropatia (frequentemente coesistente).
Assume importanza la relazione temporale tra pasto e ses-
sione di esercizio fisico, con eventuale esigenza di un apporto
supplementare di carboidrati per mantenere una glicemia du-
rante esercizio fisico tra 126 e 180 mg/dl. Operativamente, in
presenza di valori di glicemia <90 mg/dl prima dell’esercizio,
dovrebbero essere assunti da 15 a 30 g di glucosio, mentre
per valori glicemici tra 90 e 124 mg/dl possono essere suf-
cienti 10 g19.
L’aderenza alla dieta nei pazienti con diabete di tipo 2 è
inversamente proporzionale al rischio CV ed alla prognosi.
Essa può essere valutata mediante semplici questionari dispo-
nibili in letteratura (ad esempio il questionario HEI-2015)20.
Gestione psicosociale
La valutazione psicosociale durante CPR comprende la rileva-
zione delle conoscenze del paziente sulla malattia, le aspetta-
tive sui risultati delle cure, lo stato d’animo, le condizioni che
ne determinano la qualità della vita e le risorse sulle quali può
contare: economiche, ambientali, di supporto sociale, emo-
tive. È necessario valutare i sintomi correlati al diabete: de-
pressione, ansia, disturbi dell’alimentazione e stato cognitivo,
utilizzando strumenti standardizzati e validati adeguati all’età,
sia alla visita iniziale sia ai periodici controlli e ad ogni cam-
biamento nello stato di malattia, del trattamento terapeutico
o delle condizioni di vita. È raccomandato inoltre includere
sempre quando possibile anche i familiari e/o i caregiver.
L’intervento educazionale necessita di essere sviluppato
sulla modificazione dei comportamenti e sulla motivazione
del paziente: i principi guida, opportunamente adattati alla
problematica diabete, sono sintetizzati nella Tabella 2. Per
tale scopo è opportuno seguire alcune semplici regole per
migliorare la comunicazione nella relazione medico-paziente
quando si propone un percorso terapeutico che coinvolge la
modifica degli stili di vita, soprattutto in una prospettiva di
gestione nel lungo periodo come quella del diabete. Quelle
riportate nella Tabella 2 rappresentano un riferimento appli-
cabile in differenti contesti assistenziali21,22.
FOCUS SU ANZIANI E DONNE
Nel paziente anziano il controllo glicemico ed i target di
HbA1c dovrebbero essere individualizzati, con obiettivi glice-
mici da raggiungere modulati sulla base del farmaco utilizzato
e meno rigorosi in soggetti con storia di diabete di lunga du-
rata, soprattutto in presenza di multiple comorbilità e utilizzo
di farmaci associati a ipoglicemia, come già indicato nel pa-
ragrafo “Definizione degli obiettivi terapeutici”. Nel sogget-
to anziano acarbose, glitazoni, sulfaniluree e glinidi sono in
genere considerati meno idonei (per rischio di complicanze)23.
Una recente metanalisi sull’efficacia di farmaci antidiabetici
innovativi ha dimostrato che il beneficio degli inibitori del co-
trasportatore sodio-glucosio di tipo 2 (SGLT2i) e degli agonisti
Tabella 2. Gestione psicosociale del paziente con diabete in Cardiologia
Preventiva e Riabilitativa.
Principi di intervento
Self-management della malattia e della terapia: il paziente viene
istruito a gestire la malattia e la terapia
Self-management degli effetti collaterali: il paziente viene istruito
a gestire gli effetti collaterali della terapia e le condizioni inattese
(es. ipoglicemia)
Supporti per ricordare: al paziente vengono proposte semplici
tecniche per ricordare cosa deve modificare
Regole per favorire la comunicazione con il paziente
Esprimere un solo concetto alla volta
Ripetere l’informazione più volte
Parlare rivolgendosi al paziente
Effetto primacy e recency: comunicare le informazioni importanti
all’inizio e alla fine
Usare un linguaggio il più possibile vicino alla comprensione del paziente
Utilizzare esempi pratici
Accertarsi che il paziente abbia capito, facendogli ripetere i
concetti e le indicazioni
Quando si devono trasmettere informazioni importanti,
coinvolgere anche i familiari
Esprimere sempre un equilibrato ottimismo
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Diabete e CarDiologia Preventiva e riabilitativa
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capacità ossidative dei cardiomiociti e nel lungo periodo eserci-
ta un effetto di dimagrimento37.
Empagliflozin, canagliflozin e dapagliflozin riducono gli
eventi (Tabella 3) nei pazienti con diabete e malattia CV, oltre
che nei pazienti ad elevato rischio CV, con evidente efficacia sul-
la riduzione dei principali endpoint renali e CV ed in particolare
sulla riduzione dei ricoveri e della mortalità per SC38. Empagliflo-
zin è in grado di ridurre il rischio di morte CV e morte per qualsi-
asi causa del 35%33. Dapagliflozin ha dimostrato in pazienti con
SC e frazione di eiezione ridotta, l’efficacia sull’endpoint pri-
mario di esacerbazione per SC e mortalità CV (-36%), anche in
combinazione con sacubitril/valsartan, in assenza di significativi
eventi avversi come deplezione di volume, disfunzione renale e
ipoglicemia39. Oltre alla documentata e significativa riduzione
di quasi il 50% dell’insufficienza renale, della morte per cause
renali e dell’insorgenza di malattia renale allo stadio terminale,
dapagliflozin sembra inoltre dimostrare una riduzione del rischio
di aggravamento dello SC e di mortalità CV in pazienti con fra-
zione di eiezione sia lievemente ridotta che preservata40.
Flow-chart operativa nel contesto della Cardiologia
Preventiva e Riabilitativa
Nel contesto di un programma di CPR il paziente con diabete
di tipo 2 può presentarsi come “early” (definito dalla presenza
di diagnosi recente e assenza di danno d’organo, oppure naive
per terapia ipoglicemizzante, oppure trattato con sola metfor-
mina41) e “non early”. Pazienti con iperglicemia che afferiscono
alla CPR senza diagnosi di diabete o valori elevati di HbA1c
richiedono un trattamento insulinico transitorio e l’obietti-
vo della fase riabilitativa è quello di modificare il trattamento
plessivamente i GLP1-RA siano in grado di ridurre il rischio CV
del 20-40%.
Uno dei meccanismi alla base dell’effetto antiateroscleroti-
co di tali farmaci è legato alla diminuzione delle particelle LDL
piccole e dense aterogeniche, riducendo il substrato disponibile
per l’ossidazione e inibendo l’attivazione e il reclutamento dei
macrofagi28. L’utilizzo dei GLP1-RA inoltre può rimodulare la
circolazione del calcio e inibire l’ipertrofia cardiaca, mantenen-
do l’omeostasi metabolica dei cardiomiociti29.
Nei maggiori studi in ambito CV (Tabella 3)26,30-35, liraglu-
tide, semaglutide e dulaglutide hanno dimostrato effetti pro-
tettivi CV e renali significativi: liraglutide ha avuto un effetto
di riduzione della morte CV, dell’incidenza di IMA e dei suoi
esiti clinici; semaglutide e dulaglutide hanno ridotto significati-
vamente il rischio di eventi, con un effetto conferito principal-
mente dalla riduzione del rischio di ictus non fatale36. Esistono
al momento opinioni divergenti sull’effetto dei GLP1-RA nei
pazienti con insufficienza cardiaca: il trattamento con liraglu-
tide non ha comportato modifiche della funzione sistolica ven-
tricolare sinistra, mentre è stata osservata una tendenza alla
riduzione delle riospedalizzazioni per recidive di SC26. Gli effetti
pleiotropici e antiaterosclerotici dei GLP1-RA rendono questa
classe di farmaci promettente per l’ottimizzazione del rischio
CV, soprattutto con la disponibilità del primo GLP1-RA a som-
ministrazione orale giornaliera (semaglutide).
Inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio di tipo 2
Risulta ormai ampiamente documentata l’efficacia cardiopro-
tettiva degli SGLT2i nel paziente affetto da diabete. Questa
classe di farmaci, dotata di effetto “glucuretico”, migliora le
Tabella 3. Efficacia degli agonisti recettoriali del glucagon-like peptide-1 (GLP1-RA) e degli inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio di tipo 2
(SGLT2i) sugli endpoint cardiovascolari nei principali studi.
Classe/molecola Morte
cardiovascolare/
infarto non fatale/
ictus non fatale
Morte
cardiovascolare
Ospedalizzazione
per scompenso
cardiaco
Ictus
non fatale
Infarto
non fatale
Studio
GLP1-RA
Liraglutide HR 0.87
(IC 95% 0.78-0.97)
p=0.01
HR 0.78
(IC 95% 0.66-0.93)
p=0.007
HR 0.87
(IC 95% 0.73-1.05)
p=0.14
HR 0.89
(IC 95% 0.72-1.11)
p=0.30
HR 0.88
(IC 95% 0.75-1.03)
p=0.11
LEADER26
Semaglutide s.c. HR 0.74
(IC 95% 0.58-0.95)
p=0.02
HR 0.98
(IC 95% 0.65-1.48)
p=0.92
HR 1.11
(IC 95% 0.77-1.61)
p=0.57
HR 0.61
(IC 95% 0.38-0.99)
p=0.04
HR 0.74
(IC 95% 0.51-1.08)
p=0.12
SUSTAIN-630
Semaglutide orale HR 0.79
(IC 95% 0.57-1.11)
p=0.17
HR 0.49
(IC 95% 0.27-0.92) HR 0.86
(IC 95% 0.48-1.55) HR 0.74
(IC 95% 0.35-1.57) HR 1.18
(IC 95% 0.73-1.90) PIONEER 631
Dulaglutide HR 0.88
(IC 95% 0.79-0.99)
p=0.026
HR 0.91
(IC 95% 0.78-1.06)
p=0.21
HR 0.93
(IC 95% 0.77-1.12)
p=0.46
HR 0.76
(IC 95% 0.61-0.95)
p=0.017
HR 0.96
(IC 95% 0.79-1.16)
p=0.65
REWIND32
SGLT2i
Empagliflozin HR 0.86
(IC 95% 0.74-0.99)
p=0.04
HR 0.62
(IC 95% 0.49-0.77)
p<0.001
HR 0.65
(IC 95% 0.50-0.85)
p=0.002
HR 1.24
(IC 95% 0.92-1.67)
p=0.16
HR 0.87
(IC 95% 0.70-1.09)
p=0.23
EMPA-REG
OUTCOME33
Canagliflozin HR 0.86
(IC 95% 0.75-0.97)
p=0.02
HR 0.85
(IC 95% 0.69-1.05) HR 0.67
(IC 95% 0.52-0.87) HR 0.90
(IC 95% 0.71-1.15) HR 0.89
(IC 95% 0.73-1.09) CANVAS34
Dapagliflozin HR 0.93
(IC 95% 0.84-1.03)
p=0.17
HR 0.98
(IC 95% 0.82-1.17) HR 0.73
(IC 95% 0.61-0.88) HR 1.01
(IC 95% 0.84-1.21) HR 0.89
(IC 95% 0.77-1.01) DECLARE-
TIMI 5835
HR, hazard ratio; IC, intervallo di confidenza; s.c., per via sottocutanea.
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M AMbrosetti et Al
G ITAL CARDIOL | VOL 24 |
peutici): ad esempio, nei casi di un difficile controllo glicemico
nonostante la politerapia, per la frequente insorgenza di eventi
sintomatici maggiori di ipoglicemia o chetoacidosi, oppure per
la valutazione della funzionalità pancreatica residua.
In questo moderno approccio al paziente con diabete, la
scelta tra un GLP1-RA e un SGLT2i come strumento di cardio-
protezione necessita di essere individualizzata in relazione alla
cardiopatia di base, al rischio residuo e probabilmente a specifici
fattori connessi con gli obiettivi riabilitativi. In linea generale, un
GLP1-RA andrebbe preferito in situazioni di alto rischio di pro-
gressione e recidiva aterosclerotica, mentre un SGLT2i andreb-
be preferito nei pazienti con SC o alterazione della funzionalità
renale. La Tabella 4, senza presunzione di esaustività, illustra al-
cune macrosituazioni tipiche che possono portare a una iniziale
preferenza per una delle due classi sulla base dei rispettivi dati
di efficacia e sicurezza. Da considerare inoltre anche l’impiego
combinato delle due classi di farmaci: in un recente studio di
coorte retrospettivo42 in pazienti affetti da diabete di tipo 2 con
ASCVD e SC a frazione di eiezione ridotta, già in trattamento
con SGLT2i, l’aggiunta di GLP1-RA in un follow-up di 1 anno ha
ottenuto una riduzione del 67% del rischio dell’evento com-
posito morte per tutte le cause/infarto del miocardio/ictus, ma
non sul rischio di ospedalizzazione per SC.
ASPETTI ORGANIZZATIVI
Titolarità prescrittiva
Le possibilità prescrittive dei nuovi farmaci per il diabete sono
state amplificate con l’introduzione della nota 100 dell’Agenzia
ipoglicemizzante, evitando la “consegna” di un paziente in-
sulino-dipendente – o supposto tale – al medico di medicina
generale. Questo vero e proprio esito favorevole del percorso
riabilitativo poggia su un controllo glicemico intensivo, in gene-
re effettuato in ambito degenziale e standardizzando nel team
le azioni di correzione.
I fenotipi clinici “early” e “non early” meritano un percorso
strutturato, inserito nel progetto riabilitativo individuale, so-
prattutto se a rischio CV almeno alto (la quasi totalità in CPR),
con l’ausilio del diabetologo le cui modalità di azione dovreb-
bero essere opportunamente circostanziate nel progetto riabi-
litativo di struttura. Dovrebbe essere considerata l’istituzione
funzionale di un “team cardiometabolico”, espressione di tutte
le figure coinvolte nell’ottimizzazione della terapia e nelle mo-
difiche dello stile di vita (cardiologo, altro specialista, dietista,
fisioterapista, psicologo, infermiere). Il team cardiometabolico
dovrebbe operare in una prospettiva di razionalizzazione delle
risorse su pazienti ad elevata priorità (ad esempio notevole di-
stanza dai target di prevenzione CV, avvio di farmaci di nuova
generazione o rischio di interazioni ed effetti collaterali, presun-
zione di limitata aderenza).
Il percorso in CPR comprende l’identificazione del piano di
follow-up, distinguendo tra ciò che può essere eseguito durante
una visita cardiologica programmata e ciò che deve essere dele-
gato a una valutazione diabetologica. Alla luce della maggiore
acquisizione di potere “cardioprotettivo” dei farmaci utilizzati
per il diabete e degli aumentati margini di titolarità prescritti-
va del cardiologo, la delega al diabetologo dovrebbe avvenire
su specifica indicazione e non motivata da semplice inerzia o
cessione di pratiche amministrative (la redazione di piani tera-
Tabella 4. Esempi di situazioni osservabili in Cardiologia Preventiva e Riabilitativa che potenzialmente influenzano la selezione degli agonisti
recettoriali del glucagon-like peptide-1 (GLP1-RA)/inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio di tipo 2 (SGLT2i) come farmaci di cardioprote-
zione nel paziente con diabete.
Ricerca predominante di effetto antiaterogeno
(preferibile GLP1-RA)
Ricerca predominante di effetto emodinamico
(preferibile SGLT2i)
Percorso riabilitativo dopo rivascolarizzazione coronarica incompleta,
procedure interventistiche complesse o restenosi di stent/graft Frazione di eiezione ridotta (stabile o intercorrente) e/o elevati valori
di BNP/NT-proBNP durante il programma riabilitativo
Frequente attivazione di programmi riabilitativi per recidive di eventi
coronarici Percorso riabilitativo dopo sindrome coronarica acuta con elevato
rischio di rimodellamento sfavorevole del ventricolo sinistro
Presenza di arteriopatia periferica sintomatica (sia come comorbilità
sia come condizione primaria per il referral) Frequente attivazione di programma riabilitativo per recidive
di scompenso
Giudizio di elevato rischio residuo alle valutazioni attivate nel corso
del Progetto Riabilitativo Individuale (es. ischemia inducibile al test
da sforzo, elevato calcium score coronarico, localizzazione di lesioni
aterosclerotiche multiple all’eco-color Doppler vascolare periferico,
significativa riduzione dell’indice caviglia-braccio)
Persistenza di instabilità emodinamica durante il percorso riabilitativo
(es. esigenza di terapia diuretica e.v. o utilizzo inotropi/vasodilatatori
e.v. durante il percorso riabilitativo)
Difficoltà al raggiungimento del target pressorio e/o lipidico o
significative elevazioni di singoli fattori di rischio Limitazione allo sforzo primariamente cardiogena valutata al test
cardiopolmonare
Resistenza/barriere alla modifica dello stile di vita (es. persistenza
di fumo, dieta alterata, sedentarietà) Presenza di condizioni predisponenti instabilità emodinamica
(es. valvulopatie, aritmie, insufficienza respiratoria acuta e cronica,
infezioni, anemia)
Presenza di comorbilità incrementanti il rischio aterosclerotico
(es. neoplasie, malattie infiammatorie croniche, BPCO, disturbi
sonno-relati, obesità, disfunzione erettile, ipercolesterolemia
familiare, COVID-19)
Insufficienza renale cronica o alterazione intercorrente della
funzionalità renale (es. dopo utilizzo di mezzo di contrasto o
necessità di sospensione della metformina)
Difficoltà alla prescrizione/titolazione di altre classi di farmaci
antitrombotici (es. mono- o duplice antiaggregazione,
ipolipemizzanti)
Difficoltà alla prescrizione/titolazione di altre classi di farmaci
anti-scompenso (es. ACEi/sartani, beta-bloccanti, MRA, ARNI)
ACEi, inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina; ARNI, inibitori del recettore dell’angiotensina e della neprilisina; BNP, peptide na-
triuretico di tipo B; BPCO, broncopneumopatia cronica ostruttiva; e.v., per via endovenosa; MRA, antagonisti recettoriali dei mineralcorticoidi;
NT-proBNP, frammento N-terminale del propeptide natriuretico di tipo B.
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Diabete e CarDiologia Preventiva e riabilitativa
G ITAL CARDIOL | VOL 24 |
carichi di lavoro il più possibile vicini alle definizioni ottenute
durante il percorso riabilitativo (Tabella 1), ovviamente compati-
bilmente con le possibilità logistiche individuali. Tali ambiti pre-
scrittivi del training dovrebbero essere rivalutati ad ogni visita
di follow-up, con opportuno rinforzo motivazionale. I fattori
di rischio CV (pressione arteriosa, dislipidemia, fumo) devono
essere sempre rilevati e tenuti sotto stretto controllo. Inoltre,
per l’impatto dell’insufficienza renale cronica sul rischio CV, è
opportuno valutare a cadenza periodica la funzionalità rena-
le tramite il calcolo della velocità di filtrazione glomerulare e
la presenza di danno renale (es. albuminuria o proteinuria). Il
follow-up cardiometabolico dovrebbe inoltre includere l’aspet-
to psicosociale, con la valutazione dello stato psicologico ed
i possibili disturbi associati. Infine, dovrebbe essere indagata
sistematicamente l’aderenza terapeutica, alla quale legare an-
che l’atto molto pratico (che spesso comporta problematiche
logistiche per il paziente) di verifica della scadenza dei piani
terapeutici per farmaci sottoposti a monitoraggio.
Indicatori e standard di trattamento
Nel recente documento della Società Europea di Cardiologia
che stabilisce gli indicatori di qualità degli interventi di preven-
zione CV46, il tema del diabete ricorre più volte nei diversi do-
mini di valutazione, con un focus particolare sulla disponibilità
a livello della struttura sanitaria di una sufficiente offerta (non
solo medica ma anche delle diverse professioni sanitarie), sul-
la valutazione globale del rischio e su un utilizzo appropriato
e diffuso dei nuovi farmaci con protezione CV. Tali indicatori
sono inoltre integrabili con altri non diabete-specifici, come ad
esempio la proporzione di pazienti con accesso a programmi
multidisciplinari e i tassi annuali di mortalità per ogni causa,
mortalità CV, riospedalizzazione, infarto del miocardio non fa-
tale e sanguinamento maggiore. La Tabella 6 riassume i prin-
cipali indicatori desumibili dal documento europeo47, integrati
dalla proposta originale ITACARE-P sugli standard attesi in CPR.
Per quanto concerne le metriche strutturali e di perfor-
mance del contesto riabilitativo, l’erogazione dell’intervento
dovrebbe includere: a) l’aspetto farmacologico, b) l’educazio-
ne del paziente, c) il controllo di peso/glicemia/pressione ar-
teriosa/lipidi e d) l’esercizio almeno aerobico, codificati come
un “minimal standard”, mentre la presenza di un diabetolo-
go nel team esprime uno “standard ottimale”. Relativamente
alla valutazione di esito, il raggiungimento del compenso gli-
cemico al termine della riabilitazione in una proporzione su-
periore alla metà dei pazienti trattati dovrebbe rappresentare
lo standard di riferimento di ogni centro di CPR.
CONCLUSIONI
I moderni programmi di CPR, indipendentemente dalla fase
(a ridosso dell’evento acuto o maggiormente proiettati nella
fase cronica e di mantenimento) e dal contesto (degenzia-
le o ambulatoriale), non possono esimersi da un’appropriata
valutazione e da un efficace intervento rispetto al diabete.
Il diabete in CPR è una comorbilità frequente, è un potente
modulatore del rischio CV e della prognosi individuale, è una
causa indipendente di disabilità e di ridotta qualità di vita,
è un fattore condizionante la prescrizione dei programmi di
training fisico e di intervento nutrizionale, è un argomento
specifico di counseling, è un maggiore influencer della qualità
dell’intervento riabilitativo. In alcuni sistemi sanitari avanzati
il diabete costituisce di per sé indicazione primaria alla CPR
Italiana del Farmaco (AIFA) che disciplina i criteri di prescrivibili-
tà e di rimborsabilità da parte del Sistema Sanitario Nazionale di
GLP1-RA, SGLT2i e DPP4i nei pazienti adulti con diabete mellito
di tipo 2 in controllo glicemico inadeguato. Con l’ultima versio-
ne del testo della Nota (28 maggio 2022) si è superato il limite
della HbA1c <7% e viene specificato “mancato raggiungimen-
to/mantenimento degli obiettivi glicemici individuali prefissati
o necessità di modificare la terapia in corso anche nel caso di
HbA1c a target”43. Il cardiologo ha quindi la possibilità di pre-
scrivere in regime di rimborsabilità SGLT2i, GLP1-RA e DPP4i, in
monoterapia e in associazione fissa o estemporanea con altri
farmaci, purché non si tratti di associazioni SGLT2i/GLP1-RA o
DPP4i che rimangono di competenza del diabetologo.
Al momento non sono disponibili dati precisi sull’utilizzo di
tali farmaci nel contesto delle attività di CPR in Italia. Sembre-
rebbe ragionevole ipotizzare, sulla base di uno studio osserva-
zionale44, che una larga quota di pazienti riferita alla CPR sia
passibile di un intervento di rinforzo e titolazione terapeutica
con i nuovi farmaci ai fini del miglioramento della prognosi CV.
Il controllo cardiometabolico durante il follow-up
Al termine del percorso di CPR è essenziale avviare un accura-
to piano strutturato di controllo cardiometabolico, integrato
al follow-up diabetologico.
In aggiunta alla routinaria valutazione clinico-strumentale,
la visita cardiologica dovrebbe tenere conto di diversi parametri
centrali riassunti nella check-list in Tabella 5. In primo luogo
la valutazione della glicemia basale e della HbA1c, in quanto
l’aumento di una unità di HbA1c aumenta del 18% il rischio di
IMA, ictus o arteriopatia periferica45. In secondo luogo, i cam-
biamenti dello stile di vita sono la chiave per ridurre le compli-
canze CV anche, e particolarmente, nel paziente con diabete,
quale ad esempio la riduzione dell’apporto calorico e del peso
corporeo. In linea generale, salvo la necessità di programmi di
esercizio fortemente personalizzato, è raccomandata la prose-
cuzione del training fisico nel lungo periodo, con modalità e
Tabella 5. Check-list delle azioni da includere nelle visite di follow-up
cardiometabolico successive al percorso riabilitativo e/o nel programma
di prevenzione secondaria.
Misurazione della glicemia basale e dell’emoglobina glicata
Misurazione del peso corporeo
Misurazione della circonferenza vita
Counseling e prescrizione dell’attività fisica
Gestione della pressione arteriosa
Gestione della dislipidemia
Counseling sul consumo di tabacco
Calcolo del filtrato glomerulare
Gestione psicosociale
Verifica presenza di farmaci antidiabetici innovativi con
comprovato effetto di riduzione del rischio cardiovascolare
Verifica assenza di farmaci antidiabetici non più raccomandati
dalle linee guida (es. sulfaniluree)
Valutazione dell’aderenza alla terapia in corso
Valutazione dell’aderenza al programma di training e
nutrizionale in corso
Revisione della scadenza dei piani terapeutici
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Tabella 6. Indicatori di qualità in Cardiologia Preventiva e Riabilitativa riguardanti il paziente con diabete.
Dominio di valutazione
della qualità
Indicatore Standard
Indicatori di processo
Caratteristiche strutturali
del Centro Disponibilità di protocolli per facilitare l’autogestione 100%
Partecipazione a registri o database con collezione del dato di HbA1c 85%
Disponibilità nel Centro di attività di consulenza diabetologica 85%
Disponibilità nel Centro di supporto dietologico/dietistico 100%
Valutazione di rischio Proporzione di pazienti sottoposti a screening per diabete mediante glicemia basale o HbA1c
e disponibilità di recente misurazione del FG, microalbuminuria, e valutazione Doppler TSA 100%
Proporzione di pazienti con diabete e presenza al follow-up di un controllo almeno annuale di HbA1c 100%
Proporzione di pazienti con diabete e malattia renale cronica o ipertensione a cui viene prescritto
un modulatore del sistema renina-angiotensina* 100%
Proporzione di pazienti con diabete e malattia renale cronica o ipertensione a cui viene prescritto
un SGLT2i* 100%
Proporzione di pazienti con diabete a cui viene prescritto un SGLT2i o un GLP1-RA* 75%
Indicatori di esito
Proporzione di pazienti con raggiungimento di valore di HbA1c coerente con le indicazioni
delle linee guida 100%
Proporzione di pazienti con valori di PA coerente con le indicazioni delle linee guida 85%
Proporzione di pazienti con valori di colesterolo LDL <55 mg/dl a 6 mesi di follow-up 85%
Proporzione di pazienti con valori di colesterolo non-HDL <85 mg/dl a 6 mesi di follow-up 85%
FG, filtrato glomerulare; GLP1-RA, agonista recettoriale del glucagon-like peptide-1; HbA1c, emoglobina glicata; HDL, lipoproteine ad alta
densità; LDL, lipoproteine a bassa densità; SGLT2i, inibitore del cotrasportatore sodio-glucosio di tipo 2; TSA, tronchi sovra-aortici.
*Esclusi dal conteggio i pazienti con controindicazione, rifiuto o storia di intolleranza.
anche in assenza di una patologia CV, a ulteriore conferma
di quanto l’intervento riabilitativo e di prevenzione struttu-
rata svolto nel perimetro della disciplina cardiologica debba
fare parte del percorso di cura. La complessità gestionale del
paziente con diabete in CPR è cresciuta nel tempo con l’intro-
duzione di nuovi farmaci, nuove tecniche riabilitative e nuovi
e più esigenti standard di intervento. Per quanto riguarda le
linee di trattamento farmacologico, considerata la titolarità
prescrittiva e la possibilità non sempre assicurata di avere un
diabetologo all’interno del team, appare necessario che il car-
diologo addetto ai percorsi di riabilitazione e di prevenzione
gestisca in modo attivo ed esperto una terapia realmente car-
diometabolica e non più unicamente ipoglicemizzante.
RIASSUNTO
I pazienti con diabete rappresentano un gruppo di sempre maggio-
re afferenza in Cardiologia Preventiva e Riabilitativa, caratterizzato
da elevato rischio cardiovascolare, elevata disabilità e compromis-
sione della qualità di vita, indipendentemente dalla cardiopatia di
base e dall’evento indice. I soggetti con comorbilità e gli anziani
– in particolare i più fragili e le donne – rappresentano categorie
con bisogni riabilitativi elevati e necessità di adeguata personaliz-
zazione del programma. Nella definizione degli obiettivi terapeutici
il raggiungimento del target glicemico non può essere disgiunto
dalla riduzione del rischio cardiovascolare globale attraverso un in-
tervento multidisciplinare. I moderni programmi di training fisico
in Cardiologia Riabilitativa sul paziente con diabete sfruttano am-
piamente le differenti modalità dell’esercizio aerobico e di forza,
in modo da ottenere non solo un incremento della tolleranza allo
sforzo, ma anche un maggiore controllo glicemico. Training fisico
e alimentazione sono strettamente correlati durante il percorso ri-
abilitativo e vengono gestiti con l’intento di favorire un reale cam-
biamento dello stile di vita, per un’efficace prevenzione secondaria
nel lungo periodo. L’implementazione delle nuove terapie farma-
cologiche con inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio di tipo
2 e agonisti recettoriali del glucagon-like peptide-1 deve essere
armonizzata con gli altri componenti dell’intervento, in cui tutte le
professionalità (cardiologo, infermiere, fisioterapista, dietista, psi-
cologo) contribuiscono alla realizzazione di un vero e proprio team
cardiometabolico. Il diabete deve essere inserito nella valutazione
di esito del programma riabilitativo e oggetto di specifico monito-
raggio nel follow-up post-riabilitazione.
Parole chiave. Diabete; Prevenzione; Riabilitazione; Rischio car-
diovascolare.
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Article
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Aims: Dapagliflozin reduced the combined risk of worsening heart failure or cardiovascular death among patients with heart failure with mildly reduced or preserved ejection fraction. In this study, the safety and efficacy of dapagliflozin according to background diuretic therapy and the influence of dapagliflozin on longitudinal diuretic use were evaluated. Methods and results: In this pre-specified analysis of the Dapagliflozin Evaluation to Improve the LIVEs of Patients With Preserved Ejection Fraction Heart Failure (DELIVER) trial, the effects of dapagliflozin vs. placebo were assessed in the following subgroups: no diuretic, non-loop diuretic, and loop diuretic furosemide equivalent doses of <40, 40, and >40 mg, respectively. Of the 6263 randomized patients, 683 (10.9%) were on no diuretic, 769 (12.3%) were on a non-loop diuretic, and 4811 (76.8%) were on a loop diuretic at baseline. Treatment benefits of dapagliflozin on the primary composite outcome were consistent by diuretic use categories (Pinteraction = 0.64) or loop diuretic dose (Pinteraction = 0.57). Serious adverse events were similar between dapagliflozin and placebo arms, irrespective of diuretic use or dosing. Dapagliflozin reduced new initiation of loop diuretics by 32% [hazard ratio (HR) 0.68; 95% confidence interval (CI): 0.55-0.84, P < 0.001] but did not influence discontinuations/disruptions (HR 0.98; 95% CI: 0.86-1.13, P = 0.83) in follow-up. First sustained loop diuretic dose increases were less frequent, and sustained dose decreases were more frequent in patients treated with dapagliflozin: net difference of -6.5% (95% CI: -9.4 to -3.6; P < 0.001). The mean dose of loop diuretic increased over time in the placebo arm, a longitudinal increase that was significantly attenuated with treatment with dapagliflozin (placebo-corrected treatment effect of -2.5 mg/year; 95% CI: -1.5, -3.7, P < 0.001). Conclusion: In patients with heart failure with mildly reduced or preserved ejection fraction, the clinical benefits of dapagliflozin relative to placebo were consistent across a wide range of diuretic categories and doses with a similar safety profile. Treatment with dapagliflozin significantly reduced new loop diuretic requirement over time.
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The use of sodium-glucose cotransporter 2 (SGLT2) inhibitors in patients with type 2 diabetes mellitus (T2DM) has been associated with decreased skeletal muscle mass but remains unclear in patients with cardiovascular disease (CVD) undergoing comprehensive outpatient cardiac rehabilitation (CR). Therefore, this study investigates the effect of SGLT2 inhibitors on the outcomes of patients with CVD and T2DM undergoing comprehensive outpatient CR. The study included 402 patients with CVD and T2DM who participated in comprehensive outpatient CR. Physical functions (grip strength, maximal quadriceps isometric strength, usual gait speed, and 6-minute walking distance) were measured at discharge as baseline and 5 months thereafter, and the association between physical functions and SGLT2 inhibitor use was reviewed. Physical functions improved regardless of SGLT2 inhibitor use. Multiple regression analysis showed that SGLT2 inhibitor use was not associated with improvement or decline in physical functions (p ≥ 0.05). The use of SGLT2 inhibitors in patients with CVD and T2DM undergoing outpatient CR did not impair improvement in physical functions.
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Type 2 diabetes mellitus is a widespread and a chronic disease associated with micro- and macrovascular complications and is a well-established risk factor for cardiovascular disease, which are among the most important causes of death in diabetic patients. This disease is strongly affected by sex and gender: sex-gender differences have been reported to affect diabetes epidemiology and risk factors, as well as cardiovascular complications associated with diabetes. This suggests the need for different therapeutic approaches for the management of diabetes-associated complications in men and women. In this review, we describe the known sex-gender differences in diabetic men and women and discuss the therapeutic approaches for their management. The data reported in this review show that a sex-gender approach in medicine is mandatory to maximize the scientific rigor and value of the research. Sex-gender studies need interdisciplinarity and intersectionality aimed at offering the most appropriate care to each person.
Article
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Background There have been scarce data comparing cardiovascular outcomes between individual sodium-glucose cotransporter-2 (SGLT2) inhibitors. We aimed to compare the subsequent cardiovascular risk between individual SGLT2 inhibitors. Methods We analyzed 25,315 patients with diabetes mellitus (DM) newly taking SGLT2 inhibitors (empagliflozin: 5302, dapagliflozin: 4681, canagliflozin: 4411, other SGLT2 inhibitors: 10,921). We compared the risks of developing heart failure (HF), myocardial infarction (MI), angina pectoris (AP), stroke, and atrial fibrillation (AF) between individual SGLT2 inhibitors. Results Median age was 52 years, and 82.5% were men. The median fasting plasma glucose and HbA1c levels were 149 (Q1-Q3:127–182) mg/dL and 7.5 (Q1-Q3:6.9–8.6) %. During a mean follow-up of 814 ± 591 days, 855 HF, 143 MI, 815 AP, 340 stroke, and 139 AF events were recorded. Compared with empagliflozin, the risk of developing HF, MI, AP, stroke, and AF was not significantly different in dapagliflozin, canagliflozin, and other SGLT inhibitors. For developing HF, compared with empagliflozin, hazard ratios of dapagliflozin, canagliflozin, and other SGLT2 inhibitors were 1.02 (95% confidence interval [CI] 0.81–1.27), 1.08 (95% CI 0.87–1.35), and 0.88 (95% CI 0.73–1.07), respectively. Wald tests showed that there was no significant difference in the risk of developing HF, MI, AP, stroke, and AF among individual SGLT2 inhibitors. We confirmed the robustness of these results through a multitude of sensitivity analyses. Conclusion The risks for subsequent development of HF, MI, AP, stroke, and AF were comparable between individual SGLT2 inhibitors. This is the first study comparing the wide-range cardiovascular outcomes of patients with DM treated with individual SGLT2 inhibitors using large-scale real-world data.
Article
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The evidence regarding the impact of the scores on healthy eating indices on the risk of cardiovascular events among patients with type 2 diabetes (T2D) is limited. As such, in this study, we examined the associations of adherence to the Chinese and American dietary guidelines and the risk of cardiovascular disease (CVD) among Chinese individuals with T2D. We conducted a 1:1 age- and sex-matched case–control study based on a Chinese population. We used a structured questionnaire and a validated 79-item food-frequency questionnaire to collect general information and dietary intake information, and calculated the Chinese Healthy Eating Index (CHEI) and the Healthy Eating Index-2015 (HEI-2015). As participants, we enrolled a total of 419 pairs of hospital-based CVD cases and controls, all of whom had T2D. We found a significant inverse association between diet quality scores on the CHEI and HEI-2015 and the risk of CVD. The adjusted odds ratios (95% confidence interval) per five-score increment were 0.68 (0.61, 0.76) in the CHEI and 0.60 (0.52, 0.70) in the HEI-2015. In stratified analyses, the protective associations remained significant in the subgroups of sex, BMI, smoking status, tea-drinking, hypertension state, dyslipidemia state, T2D duration, and medical nutrition therapy knowledge (all p < 0.05). These findings suggest that a higher CHEI or HEI-2015 score, representing a higher-quality diet relative to the most recent Chinese or American dietary guidelines, was associated with a decreased risk of CVD among Chinese patients with T2D.
Article
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Background Patients with heart failure with reduced ejection fraction (HFrEF) in Asia exhibit many differences from those in other parts of the world. Objectives This study sought to investigate the efficacy and safety of dapagliflozin, compared with placebo, in HFrEF patients in Asia, compared with those elsewhere, enrolled in the DAPA-HF (Dapagliflozin and Prevention of Adverse-outcomes in Heart Failure) trial. Methods Patients in New York Heart Association functional class II to IV with a left ventricular ejection fraction ≤40% and elevated N-terminal pro–B-type natriuretic peptide were eligible for the DAPA-HF trial. The primary outcome in the DAPA-HF trial was the composite of an episode of worsening HF (HF hospitalization or urgent HF visit requiring intravenous therapy) or cardiovascular death. Results Of the 4,744 patients in the DAPA-HF trial, 1,096 (23.1%) were enrolled in Asia; 721 (15.2% overall, 65.8% of patients in Asia) were enrolled in East Asia (237 in China, 343 in Japan, and 141 in Taiwan), 138 (2.9% overall, 12.6% in Asia) in South-East Asia (Vietnam), and 237 (5.0% overall, 21.6% in Asia) in South Asia (India). Patients from Asia had similar rates of worsening HF events and mortality compared with patients elsewhere. Compared with placebo, dapagliflozin reduced the risk of the primary endpoint to the same extent in patients from Asia (HR: 0.65; 95% CI: 0.49 to 0.87) as elsewhere (HR: 0.77; 95% CI: 0.66 to 0.89) (P for interaction = 0.32). Consistent benefits were observed for the other prespecified outcomes and among the regions of Asia. Study drug discontinuation and prespecified adverse events did not differ between regions. Conclusions Dapagliflozin, compared with placebo, reduced the risk of worsening HF events and cardiovascular death to the same extent in Asian patients as elsewhere. (Study to Evaluate the Effect of Dapagliflozin on the Incidence of Worsening Heart Failure or Cardiovascular Death in Patients With Chronic Heart Failure [DAPA-HF]; NCT03036124).
Article
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Cardiovascular outcome trials (CVOT) showed that treatment with glucagon-like peptide-1 receptor agonists (GLP-1RA) is associated with significant cardiovascular benefits. However, CVOT are scarcely representative of everyday clinical practice, and real-world studies could provide clinicians with more relatable evidence. Here, literature was thoroughly searched to retrieve real-world studies investigating the cardiovascular and renal outcomes of GLP-1RA vs. other glucose-lowering drugs and carry out relevant meta-analyses thereof. Most real-world studies were conducted in populations at low cardiovascular and renal risk. Of note, real-world studies investigating cardio-renal outcomes of GLP-1RA suggested that initiation of GLP-1RA was associated with a greater benefit on composite cardiovascular outcomes, MACE (major adverse cardiovascular events), all-cause mortality, myocardial infarction, stroke, cardiovascular death, peripheral artery disease, and heart failure compared to other glucose-lowering drugs with the exception of sodium-glucose transporter-2 inhibitors (SGLT-2i). Initiation of SGLT-2i and GLP-1RA yielded similar effects on composite cardiovascular outcomes, MACE, stroke, and myocardial infarction. Conversely, GLP-1RA were less effective on heart failure prevention compared to SGLT-2i. Finally, the few real-world studies addressing renal outcomes suggested a significant benefit of GLP-1RA on estimated glomerular filtration rate (eGFR) reduction and hard renal outcomes vs. active comparators except SGLT-2i. Further real-world evidence is needed to clarify the role of GLP-1RA in cardio-renal protection among available glucose-lowering drugs.
Article
Sodium-glucose co-transporter 2 inhibitors (SGLT2i) reduce the risk of cardiovascular events and heart failure hospitalization (HFH) in patients with heart failure with reduced ejection fraction (HFrEF), diabetes mellitus type 2 (DM2), and atherosclerotic cardiovascular disease (ASCVD). The role of glucagon-like peptide 1 agonists (GLP1a) in these patients is unclear. We designed this study to assess if the addition of GLP1a to SGLT2i therapy improves outcomes in patients with HFrEF, DM2, and ASCVD. This was a retrospective cohort study of patients with DM2, ASCVD, and HFrEF in the national Veterans Affairs database. Patients on SGLT2i were propensity matched to patients on both SGTL2i and GLP1a. The co-primary outcomes were HFH and the composite of all-cause death, myocardial infarction, and stroke. We assessed them through a Cox regression model including unbalanced baseline characteristics. From a cohort of 5,576 patients, 343 were propensity matched to each study arm. The addition of GLP1a was associated with a 67% reduction in the 1-year risk of a composite event compared with therapy with SGLT2i (confidence interval 0.138 to 0.714, p = 0.007). The risk of HFH was not significantly different between both arms (p = 0.199). Sensitivity analyses in the unmatched dataset confirmed these findings. In conclusion, the addition of GLP1a to SGLT2i may reduce the risk of adverse events in patients with HFrEF who have DM2 and ASCVD, but it does not affect the risk of HFH.
Article
GLP-1 receptor agonists (GLP-1 RAs) have been used to treat patients with type 2 diabetes since 2005 and have become popular because of the efficacy and durability in relation to glycaemic control in combination with weight loss in most patients. Today in 2022, seven GLP-1 RAs, including oral semaglutide are available for treatment of type 2 diabetes. Since the efficacy in relation to reduction of HbA1c and body weight as well as tolerability and dosing frequency vary between agents, the GLP-1 RAs cannot be considered equal. The short acting lixisenatide showed no cardiovascular benefits, while once daily liraglutide and the weekly agonists, subcutaneous semaglutide, dulaglutide, and efpeglenatide, all lowered the incidence of cardiovascular events. Liraglutide, oral semaglutide and exenatide once weekly also reduced mortality. GLP-1 RAs reduce the progression of diabetic kidney disease. In the 2019 consensus report from EASD/ADA, GLP-1 RAs with demonstrated cardio-renal benefits (liraglutide, semaglutide and dulaglutide) are recommended after metformin to patients with established cardiovascular diseases or multiple cardiovascular risk factors. European Society of Cardiology (ESC) suggests starting with a SGLT-2 inhibitor or a GLP-1 RA in drug naïve patients with type 2 diabetes and atherosclerotic CVD or high CV Risk. However, the results from cardiovascular outcome trials (CVOT) are very heterogeneous suggesting that some GLP-1RA are more suitable to prevent CVD than others. The CVOTs provide a basis upon which individual treatment decisions for patients with T2D and CVD can be made.