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Articolo in anteprima Covid-19 e risposta immune Tra debolezze in difesa ed errori in attacco

Authors:
  • Institute for Maternal and Child Health IRCCS Burlo Garofolo
Medico e Bambino 4/2020 223
In questi giorni ci stiamo forse final-
mente avvicinando al picco di con-
tagiati relativamente all’epidemia da
virus SARS-CoV-2, di cui si è parlato
anche su Medico e Bambino1-3. In que-
sto periodo si sono accumulate grandi
quantità di informazioni, talora raccol-
te in modo un po’ frettoloso e di diffi-
cile interpretazione. Abbiamo per que-
sto voluto fare il punto su quanto è no-
to a oggi sui rapporti tra virus e siste-
ma immune e su come queste cono-
scenze possano aiutare a comprende-
re differenze di gravità dell’infezione,
come ad esempio quelle correlate al-
l’età, e come possano guidarci in un
uso razionale delle terapie.
UN PO’ PIÙ GRAVE DELL’INFLUENZA?
La letalità stimata in base a diverse
osservazioni e modelli che non stiamo
qui a riassumere oscilla dallo 0,5 al 3%
circa, con valori in Italia che saranno
più probabilmente tra l’1 e il 2%, ver-
sus quella intorno allo 0,1% dell’in-
fluenza. La variabilità dei dati diffusi
dalla stampa in diversi Paesi è influen-
zata da una molteplicità di fattori: la
percentuale di casi asintomatici e pau-
cisintomatici, il numero di tamponi
eseguiti, la modalità di attribuzione
dei decessi all’infezione, la fase dell’e-
pidemia e la densità di soggetti conta-
gianti, la distribuzione per età della
popolazione esposta e la struttura so-
ciale del Paese che determina quali
età verranno esposte maggiormente
(almeno all’inizio).
Guardando solo i contesti in cui la
popolazione sia stata estesamente va-
lutata nel suo complesso (navi da cro-
ciera, piccoli paesi come Vo’ Euganeo
e Nembro, o comunità come in Corea
del Sud), si può stimare la letalità
dell’infezione in Italia su valori dell’1-
2% dei contagiati. Partendo da questo
dato possiamo stimare indirettamente
quanti soggetti siano stati finora colpi-
ti dall’epidemia. Infatti, se consideria-
mo in base a un’ipotesi conservativa
una letalità reale dell’1%, potremmo
stimare che ai circa 8mila decessi al
26 marzo corrisponderà una popola-
zione di circa 800mila soggetti conta-
giati. A questo punto avremo già pa-
reggiato la mortalità dell’influenza
(NB: la mortalità, diversamente dalla
letalità, non è riferita ai soli contagiati,
ma all’intera popolazione del Paese), e
certamente la sopravanzeremo nelle
settimane successive, ma con circa un
decimo di soggetti ammalati rispetto
ai circa 8 milioni che si ammalano
ogni anno di influenza. Un confronto
tra i diversi virus, infine, non può non
tenere in considerazione l’esistenza
dell’immunità crociata tra i diversi vi-
rus influenzali degli anni precedenti,
che non ci lascia quasi mai scoperti, e
Covid-19 e risposta immune
Tra debolezze in difesa ed errori in attacco
STEFANO VOLPI1,2, SAMUELE NAVIGLIO3, ALBERTO TOMMASINI3,4
1
IRCCS “G. Gaslini”, Genova;
2
Università di Genova;
3
IRCCS Materno-Infantile “Burlo Garofolo”, Trieste;
4
Università di Trieste
Conoscere la fisiopatologia del Covid-19 per pensare a un migliore approccio terapeutico, focalizzato alle diver-
se fasi dell’infezione con particolare attenzione alle fasi precoci.
COVID-19 AND IMMUNE RESPONSE: WEAK DEFENCES AND SELF-HARMS
(Medico e Bambino 2020;39:223-231)
Key words
Covid-19, SARS-CoV-2, Immune repertoire, Haemophagocytic lymphohistiocytosis,
Cytokine storm, Pneumonia
Summary
Covid-19 outbreak is about to reach the peak of infected people in Italy. Huge amount
of data is being published on this epidemic in all medical journals, with especial con-
cern on severe cases. Unfortunately, most reports are just descriptive and only a few
controlled clinical trials are available to unravel the disease pathology and the best ther-
apeutic option. For this reason, the aim of the present paper is to give an update on
what is currently known about the immune response to the SARS-CoV-2 virus, focusing
on the possible weakness of adaptive immunity and excesses of inflammation.
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soprattutto il ruolo che ha la vaccina-
zione nel proteggere le popolazioni a
rischio. Inoltre, come vedremo più
avanti, il fatto che l’infezione si associ
tipicamente a polmonite richiede in
genere un rilevante impegno di cure
sanitarie, che come stiamo vedendo
non è facile da garantire. Quindi, di
fatto, il Covid-19, nella nostra popola-
zione, appare almeno in un ordine 10
più pericoloso dell’influenza e, se non
bastasse, sembra anche essere un po-
co più contagioso (Figura 1) 4. Ai casi
letali dobbiamo aggiungere l’elevata
percentuale di pazienti che richiedono
cure intensive, nonché l’impatto indi-
retto su chi in questo periodo ne
avrebbe necessità per altri motivi me-
dici e se ne trova escluso. Quindi cer-
cate di stare a casa.
COVID-19 E IMMUNOLOGIA
Fatte queste premesse, ci sono al-
cune domande che potrebbero benefi-
ciarsi di una prospettiva di lettura im-
munologica:
1. Perché questa infezione è più gra-
ve dell’influenza?
2. Perché colpisce di più proporzio-
nalmente all’età (dimentichiamoci
la differenza tra bambini e adulti: il
gradiente di letalità attraversa l’in-
tero arco della vita)?
3. Come fa il pipistrello, che sembra
costituire il serbatoio del virus, a
non ammalarsi?
4. Perché nei casi più gravi vengono
proposti farmaci reumatologici?
5. Ma è vero che ci si può riammala-
re?
Domanda #4. Perché nei casi più gravi
vengono proposti farmaci reumatologici?
Cominciamo a tentare di risponde-
re partendo dalla quarta domanda con
una considerazione storica: l’idea che
le manifestazioni (febbre, rash ecc.)
di alcune infezioni dipendano più dalla
risposta immunitaria che dall’effetto
citopatico del virus nasce poco più di
un secolo fa, quando Von Pirquet, par-
tendo dall’analogia clinica tra forme
virali e la malattia da siero, introduce
il concetto che a pathogenic agent
causes signs of illness in the organism
only when modified by the presence of
antibodies; the incubation time is thus
the time which elapses before the forma-
tion of antibody ”, e definisce come al-
lergia una qualsiasi manifestazione
patologica generata dal sistema im-
munitario nell’intento di rispondere a
uno stimolo. Oggi, quando ci riferia-
mo a queste reazioni, parliamo più in
generale di immunopatologia piutto-
sto che di allergia (che ha assunto un
senso più limitativo). Inoltre, sappia-
mo che non sono solo gli anticorpi,
ma anche le reazioni cellulari e la pro-
duzione di citochine a svolgere un
ruolo nella genesi dei sintomi che ac-
compagnano la risposta immune, talo-
ra con la produzione di significativi
danni d’organo. In alcuni casi, infatti,
la risposta è eccessiva, apparentemen-
te iperimmune, tanto da condizionare
il decorso della malattia ancor più del-
lo stimolo originario.
C’è un altro punto storico che è op-
portuno ricordare, prima di procedere
con l’analisi dell’immunità al SARS-
CoV-2: negli ultimi 30 anni, attraverso
lo studio di alcune immunodeficienze
mendeliane, ci siamo resi conto, sem-
pre meglio, che una iper-risposta del
sistema immunitario, responsabile di
autoimmunità o infiammazione, può
essere in realtà la conseguenza di un
difetto relativo di alcune componenti
o funzioni del sistema immune5. L’e-
sempio più chiaro è quello dei difetti
della funzione citotossica dei linfociti
e delle cellule natural killer : in questi
casi, il sistema immunitario tende a ri-
spondere a infezioni virali con una
iperattivazione vicaria di altri stru-
menti, tra cui citochine infiammatorie
come gli interferoni, e varie citochine
infiammatorie. La reazione che si pro-
duce prende il nome di linfoistiocitosi
emofagocitica (HLH)6,7. Forse stiamo
andando un po’ fuori tema, ma quello
che dobbiamo sapere è che in corso
di una HLH può essere più importan-
te (o almeno altrettanto importante)
curare l’infiammazione rispetto all’in-
fezione. Lo stesso vale per altri tipi di
reazioni iperimmuni che possono ac-
compagnare, e aggravare, infezioni di
vario genere, che rientrano nell’ambi-
to delle cosiddette sindromi infiam-
matorie iperferritinemiche (di cui
l’HLH, ma anche la sepsi grave fanno
parte)8,9. Nel caso del Covid-19, tutta-
via, si aggiunge a questo quadro siste-
mico il dato specifico dell’infiamma-
zione polmonare potenzialmente seve-
ra di per sé, con tutto quello che ne
consegue. La sfida che il medico ha
davanti è quella di limitare i danni im-
munitari senza ostacolare la clearance
del virus o meglio ancora facilitandola
con farmaci antivirali.
Figura 1.Rappresentazione grafica dell’impatto di diverse infezioni sulla base dell’indice di letalità
(fatality rate, sulle ordinate) e dell’indice di contagiosità (numero medio di persone contagiate da
ciascun soggetto affetto). Le stime correnti per Covid-19 pongono la letalità tra 0,7 e 3% e l ’indice di
contagiosità intorno a 2,5 (da voce bibliografica 4, modificata).
Più
letale
Indice di letalità (scala logaritmica)
Trasmissione più veloce
Media delle persone infettate da ciascun soggetto ammalato
0 1 5 10 15
100%
50
20
10
5
2
1
0,1
Morbillo
Ebola Vaiolo
SARS
MERS
Aviaria
Influenza spagnola
Raffreddore
Nuovo coronavirus
La maggior parte
delle stime pongono
l’indice di letalità al
di sotto del 3% e il
numero di contagi
tra 2 e 4
Varicella
Poliomielite
Influenza
stagionale
Pandemia
influenzale
del 2009
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Covid-19 e risposta immune
La descrizione della reazione in-
fiammatoria che accompagna l’aggra-
vamento dell’infezione da Covid-19 ri-
chiama per molti aspetti le sindromi in-
fiammatorie iperferritinemiche e per
questo non ci deve stupire la proposta,
nei casi gravi, di utilizzare farmaci reu-
matologici10,11. Tuttavia, seppur si dimo-
strassero efficaci, resta da considerare
che il numero dei pazienti gravi è tal-
mente elevato da richiedere disponibi-
lità di farmaci biologici in quantità dif-
ficilmente raggiungibili anche per un
Paese quale l’Italia. Una risorsa tera-
peutica potenziale e diffusamente di-
sponibile per trattare l’infiammazione
è rappresentata dallo steroide, farmaco
cardine per il trattamento delle sindro-
mi iperferritinemiche e già utilizzato
per le precedenti epidemie da SARS-
CoV e MERS (Middle-East Respiratory
Syndrome) con risultati clinici in alcuni
casi incoraggianti ma con evidenza di
aumento della carica virale12,13. L’utiliz-
zo è indicato nelle linee guida cinesi
per questa epidemia da SARS-CoV-2.
Tuttavia, la mancanza di trial clinici
randomizzati nelle infezioni da corona-
virus, il potenziale effetto sulla carica
virale e la mancanza di chiare indica-
zioni sulla tempistica (il più presto pos-
sibile una volta instaurata la fase in-
fiammatoria come nelle sindromi iper-
ferritinemiche, piuttosto che tardiva-
mente nella fase di tempesta citochini-
ca una volta che il paziente è intuba-
to?) e sul dosaggio (1-2 mg/kg? boli?)
spiegano la reticenza al suo utilizzo,
anche se i risultati di uno studio che
descriveva una ampia casistica di
SARS a Hong Kong suggerivano una
buona risposta ai boli di cortisone, più
evidente nei pazienti che avevano ele-
vati valori di PCR14.
Reazioni di questo tipo sono state
chiamate in causa anche per spiegare
l’elevata mortalità di altre infezioni vi-
rali, come quelle sostenute dalle pan-
demie influenzali, dal Dengue virus e
da Ebola15,18. Fattori intrinseci all’agen-
te infettivo (virulenza, elevata carica,
diversità rispetto ad altri patogeni ver-
so i quali potrebbe esserci memoria
immunitaria) possono interagire con
fattori propri dell’ospite (maturazione
immune, assetto immunitario, varianti
genetiche17, patologie concomitanti,
farmaci) favorendo solo in alcuni indi-
vidui una reazione iper-infiammatoria,
che altro non rappresenterebbe che la
conseguenza di una relativa incapa-
cità del sistema immunitario di domi-
nare l’infezione sul nascere.
Fatte queste considerazioni, tornia-
mo alle prime due domande, per capi-
re come siamo arrivati a questo punto.
Domanda #1. Perché questa infezione è
più grave di un’influenza?
L’elevata letalità del SARS-CoV-2
potrebbe essere spiegata in parte
dall’assenza di una risposta protettiva
crociata verso virus simili endemici
(diversamente dall’influenza stagiona-
le) e, ovviamente, dalla mancata di-
sponibilità di un vaccino per protegge-
re i soggetti più vulnerabili. In effetti,
un aumento di letalità è stato rilevato
anche nelle pandemie influenzali che
si sono succedute nel corso della Sto-
ria. Da notare che, in alcune di que-
ste, l’età esposta al maggiore aumento
di mortalità è stata quella dei giovani
adulti, di solito immune alle epidemie
stagionali19 (Tabella I).
Sia per la spagnola (1918) sia per la
“suina” (2009) la spiegazione è stata
che i bambini hanno un sistema im-
munitario fatto per fronteggiare la no-
vità più che sfruttare la memoria,
mentre in entrambi i casi gli anziani
avrebbero avuto una lontana memoria
crociata verso virus simili che i giova-
ni non avevano mai incontrato. Oltre a
queste considerazioni, ci sono ele-
menti che suggeriscono che questo
virus possa essere anche intrinseca-
mente più insidioso di quelli delle
pandemie influenzali, sia per il tropi-
smo particolare che presenta verso le
cellule alveolari, sia per la possibilità
che abbia una diretta azione a discapi-
to dei linfociti. Il Box 1 riporta in detta-
glio alcuni di questi aspetti20-27.
Domanda #2. Perché colpisce di più
proporzionalmente all’età?
È bene sottolineare che la suscetti-
bilità all’infezione mostra un gradien-
Box 1 - FISIOPATOLOGIA DELL’INFEZIONE POLMONARE DA PARTE
DEL SARS-CoV-2
La principale modalità di infezione cellulare da parte del SARS-CoV-2 è costituita dal lega-
me ai recettori ACE2, abbondanti nelle cellule alveolari del polmone20-22. Per questo moti-
vo, l’infezione da SARS-CoV-2 è primariamente una polmonite, mentre i virus influenzali
hanno un tropismo più diffuso con principale coinvolgimento delle vie aeree superiori.
Inoltre, almeno per il precedente SARS-CoV è stata dimostrata la capacità di infettare mo-
nociti - macrofagi e cellule dendritiche, causandone l’attivazione con conseguente secre-
zione di citochine infiammatorie23,24.
L’aggravamento clinico dell’infezione da Covid-19 è associato a riduzione della conta
linfocitaria25,26. È possibile che questo sia un effetto indiretto legato alla produzione di cito-
chine antivirali, come accade in molti altri tipi di virosi. Tuttavia, per il SARS-CoV-1, che
ha un’elevata omologia con il SARS-CoV-2, e che allo stesso modo infetta attraverso il le-
game con i recettori ACE-2, è stata dimostrata la possibilità di un’infezione diretta dei
linfociti26. In questo senso, si è detto che il SARS-CoV-1 potrebbe situarsi a metà strada tra
un comune virus respiratorio e un virus linfotropo come l’HIV.
DECESSI DA PANDEMIA A(pH1N1) DEL 2009 IN USA
SU 100.000 ABITANTI
Decessi
Età (anni) Mediana
(range)
pH1N1 Media
(range)
dal 1990 al 1999
0-17 1,7 (1,2-2,5) 0,2 (0,03-0,4)
18-64 5,0 (3,6-7,3) 0,4 (0,07-1,0)
65+ 4,2 (3,0-6,1) 22,1 (3,8-54,1)
Tutti 4,1 (2,9-6,0) 3,1 (0,5-7,6)
Tabella I. Dati paragonati con la media delle influenze stagionali degli anni precedenti. Da voce
bibliografica 19, modificata.
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te di letalità continuo in tutte le età
(Figura 2). Non si tratta quindi di una
diversità tra bambini e adulti, ma di
un gradiente continuo in tutte le età
dai prima anni alla quarta età.
In realtà, non è l’unico virus a mo-
strare questo comportamento. Anche
la varicella, ad esempio, tolto il primo
anno di vita, appare tanto più grave
quanto più la si contrae in età adulta
(anche se l’evento è reso relativamente
raro grazie alla tendenza a sviluppare
la malattia in giovane età e al ricorso
sempre più diffuso alla vaccinazione)
(Figura 3) 28. E lo stesso vale, come si è
visto prima, per le pandemie con virus
troppo nuovi per avere un’immunità
crociata protettiva negli adulti19.
Per il Covid-19, sono state formula-
te diverse ipotesi per spiegare la mi-
nore suscettibilità dei bambini e l’an-
damento più benigno dell’infezione fi-
no alla sua risoluzione:
I bambini hanno meno comorbidità e
non fumano. È certamente un moti-
vo, ma sicuramente non l’unico e
probabilmente non il principale. Si
ritiene che il fumo incida sulla se-
verità dell’infezione sia per il dan-
neggiamento della funzione polmo-
nare sia per l’effetto di induzione di
una maggiore espresso del recetto-
re ACE2, con la conseguenza del-
l’aumento della carica infettante le
cellule alveolari29.
I bambini potrebbero avere una mi-
nore densità dei recettori ACE2 nel
polmone, ma non sembra un’ipotesi
confermata da evidenze.
Gli anziani presentano una risposta
immunologica difettiva 30 e una con-
dizione di infiammazione cronica
sottostante che potrebbe spiegare
la maggior suscettibilità all’infezio-
ne e la risposta infiammatoria non
controllata31.
I bambini hanno un sistema immu-
nitario innato (neutrofili, linfociti
NK, cellule plasmacitoidi dendriti-
che) che presenta una ridotta atti-
vazione o funzionalità, probabil-
mente ciò è dovuto alla pressione
selettiva che ha spinto verso un
equilibrio tra ospite e parassita:
nelle prime settimane e nei primi
mesi di vita avviene la colonizzazio-
ne da parte dei miliardi di organi-
smi simbionti che contribuiscono a
formare il microbiota, verso cui
non dev’essere generata una rispo-
sta immune32. Tuttavia, questa con-
dizione vale, come detto, per i pri-
mi mesi di vita quando i linfociti ap-
paiono più polarizzati verso il sotto-
tipo Th2, e non si prolunga per an-
ni nell’età adulta.
I bambini rispetto agli adulti presen-
tano percentuali maggiori di linfoci-
ti T e B regolatori 33,34 coinvolti nella
tolleranza immunologica o in rispo-
ste immunitarie meno infiammato-
rie, ma di nuovo queste differenze
valgono solo per le prime fasi della
vita e non giustificherebbero il pro-
gressivo aumento del rischio pre-
sente anche nell’età adulta.
Queste ipotesi hanno tutte qual-
che base scientifica e qualche debo-
lezza, anche perché forse rispondono
al quesito sbagliato o a un quesito
parziale: cosa condiziona che un sog-
getto abbia una fase di aggravamento
con tempesta citochinica e un altro
non la abbia, concentrandosi sulla
reazione infiammatoria, ma perdendo
di vista la cinetica del virus nelle sue
prime fasi. Infatti, non bisogna di-
menticare che, come dicevamo all’i-
nizio per la domanda #4, la tempesta
citochinica può essere la conseguen-
za di un precedente fallimento del si-
stema immunitario nel bloccare per
tempo l’infezione. Dovremo quindi
concentrarci sulla cinetica precoce
dell’infezione, che purtroppo cono-
sciamo molto poco nell’uomo, peggio
rispetto alle fasi tardive complicate,
che sono state studiate molto più as-
siduamente. Questo aspetto è stato
recentemente analizzato in una re-
view collaborativa italo-cinese35.
Nella cinetica precoce, come in
ogni infezione, ci sono tre fattori de-
terminanti: la carica virale, l’immunità
naturale e l’immunità adattativa, ovve-
ro il numero di potenziali linfociti in
grado di riconoscere il virus e blocca-
re l’infezione.
1. Carica virale. L’importanza della
carica virale è suggerita dall’evi-
denza che i giovani deceduti appar-
tenevano spesso a categorie espo-
ste a un maggior carico infettivo
(personale sanitario, impiegati di
uffici in relazione con il pubblico
ecc.). Qualcosa di simile accade an-
che per altre infezioni come ad
esempio la tubercolosi36. Come det-
to sopra, l’aumento di carica virale
può essere favorito anche da una
Figura 2. Letalità da Covid-19 in diverse fasce di età. Dati del 22 marzo
2020, fonte ISS Epicentro.
Figura 3.Letalità della varicella (decessi su 10.000 casi) suddivisa per età
in era pre-vaccinale (1990-1994). Da voce bibliografica 28, modificata.
Fascia di età
>=90
80-89
70-79
60-69
50-59
40-49
30-39
20-29
10-19
0-9
Fascia di età
> 20
15-19
10-14
5-9
1-4
< 1
0% 5% 10% 15% 20% 25% 30% 0 0,5 1 1,5 2 2,5
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Medico e Bambino 4/2020 227
Covid-19 e risposta immune
maggior densità di recettore ACE2,
riscontrata nel sesso maschile e
nei fumatori29. Perché sia importan-
te la carica virale ha probabilmente
a che fare con l’equilibrio nella ri-
sposta immunitaria adattativa che
viene a crearsi da parte dell’organi-
smo (vedi prossimo punto).
2. Attivazione dell’immunità natu-
rale. Per le infezioni virali, questa
attivazione dipende principalmente
dal riconoscimento degli acidi nu-
cleici virali negli endosomi o nel ci-
toplasma della cellula da particolari
sensori, per lo più appartenenti alla
famiglia dei toll-like receptor. Que-
sta attivazione porta alla produzio-
ne di interferoni in tutte le cellule
infettate e alla produzione di altre
citochine infiammatorie nelle cellu-
le del sistema immunitario. È stato
dimostrato come uno dei meccani-
smi centrali della patogenesi delle
forme gravi di SARS sia dipendente
dall’intensità e dalla tempistica del-
la risposta interferonica37. Il virus
produce diverse proteine che bloc-
cano la risposta interferonica favo-
rendo la propria sopravvivenza
nell’organismo. Se la risposta im-
munitaria è efficiente e il virus vie-
ne comunque controllato nelle pri-
me fasi, la risposta interferonica
iniziale non raggiunge livelli dan-
nosi. Se invece il virus non viene
contenuto si determina un danno
cellulare a carico degli pneumociti
con conseguente massiccio rilascio
di chemochine che prelude a un
importante afflusso di cellule in-
fiammatorie (neutrofili e soprattut-
to macrofagi) e a una risposta in-
terferonica tardiva molto intensa
che si accompagna alla forma gra-
ve di SARS. Tuttavia, è già stato
sottolineato come almeno nei primi
mesi di vita la funzionalità del siste-
ma immunitario innato sia difettiva.
Nonostante ciò non sono segnalati
decorsi severi o fatali nei neonati
infetti o nei lattanti, suggerendo
che siano sufficienti bassi livelli di
attivazione di questa linea di rispo-
sta immunitaria per promuovere
l’organizzazione della successiva
immunità adattativa.
3. Numero di potenziali linfociti
anti-virali. La possibilità di rispon-
dere ai più disparati antigeni mai
incontrati in precedenza dipende
dalla capacità da parte del sistema
immunitario di generare una enor-
me varietà di recettori (recettori
dei linfociti T e anticorpi), di espan-
dere le cellule con i recettori più
utili in seguito all’incontro dell’anti-
gene e di conservarne memoria.
Questo è un processo fortemente
correlato con l’età. Più piccoli sono
i bambini, più ampio è il loro reper-
torio di diversità dei recettori, mag-
giore la possibilità di trovare cloni
utili a riconoscere antigeni mai vi-
sti (perché non c’è stato ancora il
tempo di vederli). In un bambino
piccolo, cambia poco che si tratti
dell’influenza stagionale, della “sui-
na” o del coronavirus. Dopo ciascu-
na di queste infezioni, il bambino
aggiungerà un po’ di cloni al suo
repertorio di memoria pronti per
un successivo incontro con l’anti-
gene. Più va avanti l’età e più la ri-
sposta immunitaria si gioverà di
questa memoria, perché in fondo i
patogeni che girano nell’ambiente
si assomigliano tutti un po’. Il decli-
no del repertorio non è ineluttabile,
ma è l’altra faccia della medaglia
della stimolazione da successive in-
fezioni durante la vita ed è in qual-
che modo in equilibrio con queste38.
Tuttavia, il repertorio di recettori
sufficiente per aggredire un patoge-
no nuovo per il sistema immunita-
rio con rapidità (cioè prima che
questo si sia riprodotto diffusamen-
te) si riduce progressivamente. L’a-
nalisi dell’età media dei linfociti pe-
riferici nell’adulto mostra un pro-
gressivo invecchiamento di questi,
descritto anche come immunosene-
scenza39. Questo è probabilmente
uno dei motivi per cui l’adulto è più
suscettibile a sviluppare in modo
grave la varicella, ove non l’abbia
contratta in precedenza, e così altre
infezioni a rapida evoluzione per
cui non disponga di memoria. In ef-
fetti, la linfopenia CD4 (idiopatica,
iatrogena o in HIV) è una nota con-
dizione di suscettibilità a infezione
grave da vari virus come la varicella
e il West Nile Disease virus40-42. Nel
Box 2 si riportano alcuni dei mecca-
nismi presunti che stanno alla base
Box 2 - LINFOCITI A RECENTE DERIVAZIONE TIMICA COME INDICATORI
DEL REPERTORIO LINFOCITARIO NELLE DIVERSE ETÀ IMPLICAZIONI
PER LA RISPOSTA AL SARS-CoV-2
È possibile che similmente la maggior gravità nell’adulto di alcune pandemie influenzali
(come la spagnola o la “suina”) sia legata al fatto che virus con antigeni nuovi non danno
modo al sistema immunitario di sfruttare il proprio repertorio di memoria, ma chiamano in
causa la rapidità di selezionare e amplificare cellule vergini, o come si dice
naïve
. I corre-
lati dell’ampio repertorio linfocitario
naïve
dei bambini sono costituiti dalle dimensioni ti-
miche, che si riducono progressivamente nelle decadi successive o, a livello di cellule del
sangue, dalla quota di linfociti con marcatori di recente differenziamento timico (RTE,
identificabili attraverso metodiche di immunocitometria o di biologia molecolare)43-45. Molti-
plicando la conta linfocitaria per la quota di linfociti RTE è possibile stimare, per quanto
grossolanamente, che un bambino di 5 anni ha un repertorio 5-10 volte più ampio rispet-
to a un cinquantenne e più di 20 volte maggiore rispetto a un ottantenne: nella cinetica di
un’infezione, avere un repertorio più ampio cui attingere significa arrivare, per espansio-
ne cellulare, ad avere una numerosità di cellule protettive con giorni di anticipo rispetto ai
soggetti più anziani. Vuol dire, teoricamente, poter bloccare il virus prima che l’infezione
sia diffusa. Anche il cinquantenne potrebbe essere ancora in grado di avere un rapporto
vantaggioso, ma potremmo ipotizzare che questo non sia sufficiente nel caso che la cari-
ca virale sia stata particolarmente elevata (come sembrerebbe avvenire nelle categorie a
rischio), perché la cinetica linfociti/virus sarebbe un fatto reciproco. Chi arriva prima vin-
ce. Tanto più che, direttamente o indirettamente, il virus si rende poi responsabile di una
linfopenia in un circolo vizioso che vede la produzione vicariante di citochine infiammato-
rie. È interessante notare che nei casi a evoluzione grave è stata riscontrata un’aumentata
percentuale dei linfociti T
naïve
verosimilmente sostenuta da un’aumentata produzione di
IL-7, il che potrebbe sembrare in contrasto con quanto appena detto10,46. Tuttavia, è possi-
bile che l’effetto soppressivo del virus si sviluppi maggiormente sulle cellule memoria, con-
ducendo a un tentativo di compenso immunitario con la produzione omeostatica di nuove
cellule
naïve
.
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228 Medico e Bambino 4/2020
Aggiornamento
del presunto meccanismo virale che
attiva l’ampio repertorio linfocitario
naïve dei bambini43-46.
Il bilancio tra effetti antivirali della
risposta immune e danno infiammato-
rio può diventare letale. Per questo
vengono proposte terapie antinfiam-
matorie e, laddove il sistema immune
può fare ormai poco, farmaci con pos-
sibile azione antivirale. La Figura 4
schematizza un possibile modello del-
la cinetica dell’infezione virale nel gio-
vane e nell’anziano.
Questo modello, per quanto plausi-
bile sulla base di dati scientifici diretti
e analogie, non ha ancora una chiara
conferma nella pratica, anche perché
non esistono studi che abbiano valuta-
to lo stato immune dei pazienti prima
di ammalarsi.
In possibile parziale contrasto con
questa ipotesi sembrano i dati prelimi-
nari secondo cui alcuni soggetti sotto-
posti a immunosoppressione in segui-
to a trapianto hanno contratto l’infe-
zione con un decorso clinico banale46.
Si tratta tuttavia di soli 3 bambini di
cui non sono specificate le caratteristi-
che in termini di età, farmaci assunti e
stato immunitario. È possibile che i
farmaci immunosoppressivi assunti
non fossero sufficienti a contrastare
gli effetti “protettivi” della giovane età.
Esiste però anche la possibilità oppo-
sta: che questi pazienti siano stati av-
vantaggiati nella seconda fase dell’in-
fezione, riducendo l’intensità della
tempesta citochinica associata ad
ARDS (Acute Respiratory Distress Syn-
drome), proprio grazie ai farmaci im-
munosoppressori (alcuni dei quali, co-
me la ciclosporina, fanno parte del
trattamento standard delle HLH).
A ogni modo, questa pandemia ci
ha ricordato quanto il sistema immu-
nitario si sia selezionato sotto spinte
evolutive di milioni di anni per far so-
pravvivere il giovane fino circa all’età
fertile, mentre l’invecchiamento, se-
condo la definizione di Hayflick47, ri-
sulta essere ancora un “artefatto del
progresso”.
Domanda #3. Come fa il pipistrello, che
sembra costituire il serbatoio del virus,
a non ammalarsi?
Questa domanda non ha utilità solo
naturalistica. Capire come il pipistrel-
lo affronta l’infezione senza soccom-
bervi può essere utile a identificare
strategie utili per trattare le forme più
gravi nell’uomo.
Una peculiarità infatti dei pipistrelli
è la capacità di fare da reservoir per di-
versi virus filogeneticamente molto si-
mili a virus poi diventati endemici o
pandemici nell’uomo. Tra questi vi so-
no il virus dell’influenza A48, il virus
Ebola49 e i coronavirus SARS-CoV50 e
MERS51. Dati preliminari lasciano sup-
porre che anche questo SARS-CoV2
sia derivato da un virus che infetta il
pipistrello52. Ma cosa rende il pipistrel-
lo un ospite ideale per queste infezio-
ni virali? E perché l’animale non ha la
peggio? Sostanzialmente per la coesi-
stenza di due condizioni. La prima è
rappresentata dalla presenza di una ri-
sposta di tipo immunità innata, trami-
te la produzione di diversi interferoni,
sebbene in misura minore rispetto
all’uomo53. Questa risposta innata “ri-
dotta” è comunque sufficiente a met-
tere in moto l’immunità adattativa sen-
za provocare tuttavia un eccesso di in-
fiammazione. In tal modo l’infezione,
pur durando più a lungo, può essere
controllata senza un eccessivo danno
infiammatorio. La seconda è rappre-
sentata dalla minor infiammazione
che accompagna queste infezioni vira-
li. I meccanismi di questa mancata at-
tivazione della cascata infiammatoria
sono riportati nel Box 3 54-57.
Domanda #5. Ma è vero che ci si può
riammalare?
Questo aspetto appare al momento
molto controverso. Da una parte ci so-
no alcune segnalazioni, per lo più dal-
la stampa, di pazienti risultati positivi
a distanza di diversi giorni rispetto al-
la guarigione, definita come presenza
di 2 tamponi negativi consecutivi. Tut-
tavia, è stato anche detto che questo
potrebbe rappresentare un falso nega-
tivo dei tamponi precedenti (i tamponi
infatti non sembrano possedere una
sensibilità assoluta, anzi), oppure es-
sere dovuti al fatto che i guariti clini-
camente continuino a eliminare un po’
di virus comunque dalle vie respirato-
rie per diverso tempo pur essendo di
fatto guariti (segnalato anche un me-
se). I casi segnalati quindi non sareb-
bero delle vere reinfezioni. È vero an-
che, tuttavia, che i coronavirus in ge-
nerale, ad esempio quelli associati al
comune raffreddore, non sembrano
Figura 4. Modello di cinetica dell’infezione virale con diverso outcome in base al repertorio immunitario di partenza. Fase III: questa fase si manifesta
con elementi di gravità solo in una minoranza di soggetti contagiati.
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Medico e Bambino 4/2020 229
Covid-19 e risposta immune
dare un’immunità persistente, ma in
questo caso il sistema immunitario po-
trebbe essere stimolato solo marginal-
mente data la superficialità dell’infezio-
ne. Di fatto, studi nei pazienti guariti
dalla SARS hanno mostrato che l’infe-
zione era associata alla comparsa di
anticorpi contro la proteina spike ne-
cessaria per l’adesione del virus alle
cellule, e che questi anticorpi erano
protettivi. Purtroppo, questa risposta
tendeva a ridursi dopo un anno. Vice-
versa la presenza di cellule T di memo-
ria contro il virus è stata dimostrata fi-
no a 6 anni dopo, e possono avere un
ruolo protettivo importante, special-
mente se residua una popolazione T
mucosale specifica58. Non è però possi-
bile dire se questo sarà veramente pro-
tettivo nel tempo, non abbiamo dati. Di
fatto potrà servire a pensare alle strate-
gie per eventuali vaccini.
QUALI SONO LE PROSPETTIVE
TERAPEUTICHE?
I cardini della terapia sono certa-
mente il supporto respiratorio e il con-
trollo dei parametri vitali. È buona
pratica, nei casi più gravi, aggiungere
un trattamento antibiotico empirico
per protegge da sovrainfezioni batteri-
che.
Antivirali
Hanno lo scopo di bloccare la rapida
e ovviamente deleteria replicazione vi-
rale. Possono essere analoghi di nu-
cleotidi o inibitori delle proteasi. Alcuni
nomi che sono stati usati includono la
ribavirina (non sembra avere una parti-
colare efficacia, di fatto è stata usata
poco), la combinazione lopinavir/rito-
navir (parziale efficacia in vitro e un re-
cente trial cinese mostra uno scarso
effetto clinico complessivo nel pazienti
trattati)59, remdesivir (ottima efficacia
in vitro, in attesa di risultati dei trial
clinici in corso)60; favipiravir (farmaco
giapponese per il quale sarebbero
emersi dati, ancora poco controllati, di
un’efficacia clinica). È in corso una spe-
rimentazione clinica in Italia.
Pro: sono la più ovvia terapia causale,
ma potrebbero avere un’efficacia limi-
tata alle prime fasi della malattia,
quando prevale il danno virale diretto.
Contro: potrebbero non agire sui mec-
canismi centrali della fase grave della
malattia, che abbiamo visto essere in
buona parte infiammatori.
Interferoni
Un difficile equilibrio. Sono moleco-
le centrali della risposta immunitaria
antivirale e come abbiamo visto po-
trebbero avere un effetto diverso a se-
conda della fase dell’infezione in cui
vengono dati, da utile a peggiorativo37.
Di fatto, il loro utilizzo non pare aver
dato grossi risultati visto che sembra
fossero molto usati nell’epidemia cine-
se, specie per via inalatoria, ma non
sembrerebbero essere stati riproposti.
Clorochina e idrossiclorochina
Farmaci antimalarici e immunomo-
dulanti, potrebbero svolgere un’azio-
ne a diversi livelli. Modificano il pH
dei lisosomi cellulari e inibiscono la
diffusione del virus, con un effetto an-
tivirale diretto dimostrato in vitro, con
maggior potenza soprattutto per l’i-
drossiclorochina60. Inoltre, inibiscono
l’azione degli interferoni e questo po-
trebbe aiutare la modulazione dell’ec-
cesso di risposta che abbiamo visto
essere implicato nella patogenesi del-
le forme gravi.
Pro: sono farmaci usati da lungo tem-
po, maneggevoli e con pochi e noti ef-
fetti collaterali. Finora abbiamo i sola-
mente i risultati di due piccoli studi
clinici, uno francese e uno cinese: il
primo troverebbe un’efficacia del far-
maco da solo o in associazione all’azi-
tromicina (antibiotico dotato anche di
un effetto antinfiammatorio polmona-
re - attenzione che entrambi allunga-
no il QT) nel favorire la clearance del
virus, mentre il secondo non mostre-
rebbe benefici dalla terapia.
Contro: non è chiaro se stiano vera-
mente portando alla svolta terapeuti-
ca che è stata propagandata da alcu-
ni. L’efficacia potrebbe essere mag-
giore nelle fasi iniziali ma non si può
dire. Anche in altre infezioni virali
era stato rilevato un effetto in vitro
che non era seguito poi però da be-
neficio nel modello animale. È neces-
sario valutarne l’effetto in trial con-
trollati.
Giudizio: sospeso. Ma di fatto sono
entrati nei protocolli di trattamento
empirico di molti ospedali, da soli o
in associazione ad azitromicina, per
cui appare difficile non considerarli
in un eventuale paziente reale. Senza
robusti dati clinici tuttavia non si può
dire niente.
Farmaci ad azione antinfiammatoria
Come abbiamo visto, una parte
fondamentale della patogenesi della
forma grave di Covid-19 è sostenuta
da una iperattivazione dell’infiamma-
zione in cui il virus svolge un ruolo
che potrebbe essere non più centrale
o addirittura in calo. I corticosteroidi
possono essere di qualche efficacia
in questi casi, ma non ci sono studi
conclusivi in riguardo e c’è qualche
preoccupazione riguardo al rischio
che prolunghi il tempo di clearance
virale, come avveniva anche se solo
Box 3 - FATTORI IMMUNOLOGICI ASSOCIATI ALLA RIDOTTA VIRULENZA
DEI VIRUS NEI PIPISTRELLI, PROBABILE SERBATOIO DEL SARS-CoV-2
È dovuta sostanzialmente alla ridotta attivazione delle vie di segnale a valle dei recettori
per i nucleotidi virali, tra cui una ridotta attivazione della via dell’interferone di tipo I (in-
terferone alfa e beta) dovuta a una mutazione della proteina STING54, e a una ridotta atti-
vazione dell’inflammasoma NLRP3 responsabile della secrezione di IL-1β, una delle princi-
pali citochine infiammatorie55. Infine, vi è una ridotta espressione della citochina TNFa a
causa di una variante della regione del promotore del gene e una aumentata espressione
sulle cellule NK di molecole inibitorie56. Tutte queste caratteristiche fanno supporre che per
diversi tipi di virus, tra cui i coronavirus, ciò che permette al pipistrello di sopravvivere un
tempo sufficientemente lungo per controllare l’infezione sia di fatto una ridotta risposta in-
fiammatoria del sistema immunitario, coerente con l’ipotesi che alcuni componenti chiave
del sistema immunitario nei pipistrelli si siano coevoluti con i virus verso uno stato di rispet-
tiva tolleranza e avirulenza. Infine, ciò che potrebbe essere estremamente importante per
la pandemia in corso, è la caratteristica dei SARS-CoV di attivare tramite una proteina vi-
rale direttamente NLRP3 e quindi la secrezione di IL-1β, citochina chiave nello sviluppo di
sindromi infiammatorie quali la sindrome da attivazione macrofagica57.
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230 Medico e Bambino 4/2020
Aggiornamento
marginalmente nella SARS50. Sempre
nella SARS, l’esperienza di Hong
Kong su un’ampia casistica mostra
una migliore evoluzione per i sogget-
ti trattati con boli di cortisone rispet-
to a quelli che ricevevano dosi stan-
dard14. Più recentemente, nei casi più
gravi di Covid-19, la presenza di una
tempesta citochinica ha portato all’u-
tilizzo, e poi alla sperimentazione cli-
nica, del tocilizumab, anticorpo mo-
noclonale anti-IL-6 che è già stato uti-
lizzato nelle cytokine release syndrome
osservate, ad esempio nelle terapie
cellulari con CAR-T per la leucemia. I
risultati, stando almeno alle notizie
della stampa, sarebbero favorevoli,
tuttavia la sperimentazione è in corso
stato anticipato un report con dati
apparentemente molto buoni su un
primo gruppo di 21 pazienti61). Di fat-
to vengono utilizzati nei pazienti ten-
denzialmente più gravi, anche se po-
trebbe essere invece più utile usarli
in una fase un po’ più precoce, quan-
do il danno polmonare non è ancora
troppo severo. Non è tuttavia l’unica
via percorribile. È stato dimostrato
per esempio che i topi knockout per il
recettore del TNF sono protetti dalla
forma grave della malattia, e che la
neutralizzazione del TNF in vivo ri-
sulta anche protettiva62. Questo po-
trebbe far pensare all’utilizzo di far-
maci biologici come etanercept o in-
fliximab. Similarmente abbiamo visto
che è stata descritta nei coronavirus
un’attivazione dell’inflammosoma
con rilascio di IL-1βper cui anche l’u-
tilizzo di farmaci anti-IL-1 come
anakinra appare potenzialmente di in-
teresse.
Un discorso a parte potrebbe meri-
tare infine una modulazione multi-ci-
tochinica che includa anche la rispo-
sta interferonica. Gli inibitori Janus ki-
nasi (JAK inibitori), usati anch’essi
nelle patologie reumatologiche, po-
trebbero avere il vantaggio di blocca-
re contemporaneamente diverse cito-
chine tra cui IL-6 e gli interferoni, an-
che se l’effetto di un’inibizione così
ampia potrebbe essere di non facile
previsione, forse non necessariamen-
te favorevole63.
CONCLUSIONI
Dobbiamo riconoscere che ci
mancano ancora molti tasselli per
comprendere approfonditamente la
patogenesi dell’infezione da SARS-
CoV-2. Futuri studi dovranno valuta-
re l’intera cinetica dell’infezione per
identificare i fattori associati alla pro-
gressione dell’infezione, all’effetto ci-
topatico diretto del virus e al danno
causato dall’intensa infiammazione
polmonare. Comprendere questi fat-
tori potrà aiutare a limitare i danni in-
fiammatori, permettendo un’assisten-
za respiratoria adeguata finché la rea-
zione immune e/o i farmaci antivirali
non abbiano condotto alla clearance
del virus. Nel corso del prossimo an-
no, si riuscirà forse a identificare
qualche antivirale più efficace, anche
sulla base della chimica computazio-
nale, grazie alla recente descrizione
della struttura molecolare di proteasi
virali, e a sviluppare vaccini protetti-
vi. Fino a quel momento, dobbiamo
impegnarci a limitare quanto più pos-
sibile la diffusione del contagio e cu-
rare al meglio i malati.
Indirizzo per corrispondenza:
Alberto Tommasini
e-mail:
alberto.tommasini@burlo.trieste.it
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L’assenza di immunità crociata di
memoria e il tropismo polmonare ren-
dono il Covid-19 molto più grave di
un’influenza stagionale.
La fisiologica riduzione del reperto-
rio immunitario con l’età è tra le cause
associate a un peggiore decorso nel-
l’anziano.
La valutazione della cinetica dell’in-
fezione ci impone una maggiore atten-
zione alle fasi iniziali, quando potreb-
bero avere maggior efficacia l’avvio
di un trattamento antivirale e forse an-
che antinfiammatorio (antimalarici,
cortisone).
Diversi farmaci, dal cortisone a far-
maci biologici, possono avere un ruo-
lo per bloccare la tempesta citochinica
che accompagna l’aggravamento
dell’infezione in alcuni soggetti.
Sono tuttavia necessarie conferme
sul versante terapeutico dalle diverse
sperimentazioni cliniche in corso.
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Articolo in anteprima Medico e Bambino 4/2020 - Farmacoriflessioni COVID 19 force us to deal with the urgent need to find clinical answers in an area where, unfortunately, we still have therapies with no evidence of efficacy and safety. In any case, the doctor must make decisions and face the dilemma of immediately using any therapeutic options that has some plausibility of treatment or instead making clinical trial. However, the latter require formal steps and procedures. How do we understand which of these are essential and necessary? Is it really important to register the new clinical trials on the official platforms? Is this an unnecessary bureaucratic passage that we can avoid during the emergency phase? In this article, we try to answer these questions by also addressing other critical issues related to clinical trials, at a time when the good rules of clinical research must not represent an obstacle to accessing the best available treatments.
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Significance In patients with coronavirus disease 2019, a large number of T lymphocytes and mononuclear macrophages are activated, producing cytokines such as interleukin-6 (IL-6), which bind to the IL-6 receptor on the target cells, causing the cytokine storm and severe inflammatory responses in lungs and other tissues and organs. Tocilizumab, as a recombinant humanized anti-human IL-6 receptor monoclonal antibody, can bind to the IL-6 receptor with high affinity, thus preventing IL-6 itself from binding to its receptor, rendering it incapable of immune damage to target cells, and alleviating the inflammatory responses.
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A fine dicembre 2019 uno sconosciuto virus che causava polmoni- te è stato per la prima volta riscontrato nella città di Wuhan, in Cina e fu inizialmente chiamato “novel coronavirus”. L’11 febbraio 2020 è stato rinominato SARS-CoV-2 e la World Health Organita- tion nominò la malattia derivata da questo virus Covid-191. Riportiamo un aggiornamento della letteratura al 18 marzo su quanto è noto, sulla base dell’esperienza cinese, in merito all’epidemiologia clinica dell’infezione in bambini e adolescenti. La scelta è stata fatta selezionando i lavori ritenuti di maggiore rilevanza clinica. Non si fa riferimento alle problematiche relative all’infezione nei neonati nati da madri Covid-19-positive.
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Background: In December 2019, coronavirus disease 2019 (COVID-19) emerged in Wuhan and rapidly spread throughout China. Methods: Demographic and clinical data of all confirmed cases with COVID-19 on admission at Tongji Hospital from January 10 to February 12, 2020, were collected and analyzed. The data of laboratory examinations, including peripheral lymphocyte subsets, were analyzed and compared between severe and non-severe patients. Results: Of the 452 patients with COVID-19 recruited, 286 were diagnosed as severe infection. The median age was 58 years and 235 were male. The most common symptoms were fever, shortness of breath, expectoration, fatigue, dry cough and myalgia. Severe cases tend to have lower lymphocytes counts, higher leukocytes counts and neutrophil-lymphocyte-ratio (NLR), as well as lower percentages of monocytes, eosinophils, and basophils. Most of severe cases demonstrated elevated levels of infection-related biomarkers and inflammatory cytokines. The number of T cells significantly decreased, and more hampered in severe cases. Both helper T cells and suppressor T cells in patients with COVID-19 were below normal levels, and lower level of helper T cells in severe group. The percentage of naïve helper T cells increased and memory helper T cells decreased in severe cases. Patients with COVID-19 also have lower level of regulatory T cells, and more obviously damaged in severe cases. Conclusions: The novel coronavirus might mainly act on lymphocytes, especially T lymphocytes. Surveillance of NLR and lymphocyte subsets is helpful in the early screening of critical illness, diagnosis and treatment of COVID-19.
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Background: No therapeutics have yet been proven effective for the treatment of severe illness caused by SARS-CoV-2. Methods: We conducted a randomized, controlled, open-label trial involving hospitalized adult patients with confirmed SARS-CoV-2 infection, which causes the respiratory illness Covid-19, and an oxygen saturation (Sao2) of 94% or less while they were breathing ambient air or a ratio of the partial pressure of oxygen (Pao2) to the fraction of inspired oxygen (Fio2) of less than 300 mm Hg. Patients were randomly assigned in a 1:1 ratio to receive either lopinavir-ritonavir (400 mg and 100 mg, respectively) twice a day for 14 days, in addition to standard care, or standard care alone. The primary end point was the time to clinical improvement, defined as the time from randomization to either an improvement of two points on a seven-category ordinal scale or discharge from the hospital, whichever came first. Results: A total of 199 patients with laboratory-confirmed SARS-CoV-2 infection underwent randomization; 99 were assigned to the lopinavir-ritonavir group, and 100 to the standard-care group. Treatment with lopinavir-ritonavir was not associated with a difference from standard care in the time to clinical improvement (hazard ratio for clinical improvement, 1.24; 95% confidence interval [CI], 0.90 to 1.72). Mortality at 28 days was similar in the lopinavir-ritonavir group and the standard-care group (19.2% vs. 25.0%; difference, -5.8 percentage points; 95% CI, -17.3 to 5.7). The percentages of patients with detectable viral RNA at various time points were similar. In a modified intention-to-treat analysis, lopinavir-ritonavir led to a median time to clinical improvement that was shorter by 1 day than that observed with standard care (hazard ratio, 1.39; 95% CI, 1.00 to 1.91). Gastrointestinal adverse events were more common in the lopinavir-ritonavir group, but serious adverse events were more common in the standard-care group. Lopinavir-ritonavir treatment was stopped early in 13 patients (13.8%) because of adverse events. Conclusions: In hospitalized adult patients with severe Covid-19, no benefit was observed with lopinavir-ritonavir treatment beyond standard care. Future trials in patients with severe illness may help to confirm or exclude the possibility of a treatment benefit. (Funded by Major Projects of National Science and Technology on New Drug Creation and Development and others; Chinese Clinical Trial Register number, ChiCTR2000029308.).
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The recent emergence of the novel, pathogenic SARS-coronavirus 2 (SARS-CoV-2) in China and its rapid national and international spread pose a global health emergency. Cell entry of coronaviruses depends on binding of the viral spike (S) proteins to cellular receptors and on S protein priming by host cell proteases. Unravelling which cellular factors are used by SARS-CoV-2 for entry might provide insights into viral transmission and reveal therapeutic targets. Here, we demonstrate that SARS-CoV-2 uses the SARS-CoV receptor ACE2 for entry and the serine protease TMPRSS2 for S protein priming. A TMPRSS2 inhibitor approved for clinical use blocked entry and might constitute a treatment option. Finally, we show that the sera from convalescent SARS patients cross-neutralized SARS-2-S-driven entry. Our results reveal important commonalities between SARS-CoV-2 and SARS-CoV infection and identify a potential target for antiviral intervention.